Il virus West Nile, trasmesso dalle zanzare, torna a far parlare di sé in Italia con 32 casi confermati nel 2025, di cui 21 nella sola provincia di Latina. Cosa sapere su sintomi, rischi e prevenzione.
Il West Nile virus, trasmesso principalmente dalla puntura di zanzare del genere Culex, è una realtà consolidata in Italia, dove è considerato endemico da oltre due decenni. Nel 2025, il virus ha fatto registrare 32 casi confermati di infezione nell’uomo dall’inizio dell’anno al 23 luglio, con un preoccupante focolaio nella provincia di Latina, dove si concentrano 21 casi, inclusi due decessi. Lo riferisce l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) nel suo bollettino settimanale.
I numeri del 2025: Latina al centro dell’attenzione
Dei 32 casi confermati, 23 si sono manifestati nella forma neuro-invasiva, più grave, distribuiti tra Piemonte (2 casi), Veneto (2), Emilia-Romagna (1), Lazio (15) e Campania (3). Sei casi hanno presentato sintomi febbrili (2 in Veneto, 4 nel Lazio), mentre un caso asintomatico è stato identificato in un donatore di sangue in Veneto. Tra i casi registrati, si contano due decessi: uno in Piemonte e uno nel Lazio, quest’ultimo riguardante una donna di 82 anni deceduta a Fondi, in provincia di Latina.
Nel Lazio, la situazione è particolarmente critica: la Regione ha confermato 12 nuovi casi nelle ultime analisi condotte dal laboratorio di virologia dell’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani, portando il totale a 21 casi nella sola provincia di Latina. Di questi, 10 pazienti sono ricoverati in reparti ordinari per altre patologie, 2 sono in terapia intensiva, 2 sono stati dimessi e 6 sono in cura a domicilio. I comuni coinvolti includono Aprilia, Cisterna di Latina, Fondi, Latina, Pontinia, Priverno, Sezze e Sabaudia.
Un sistema di sorveglianza efficace
“Il virus West Nile ormai da diversi anni è endemico nel nostro paese – sottolinea Anna Teresa Palamara, che dirige il dipartimento di Malattie Infettive dell’ISS – e il sistema di sorveglianza che Ministero, ISS e Regioni hanno messo a punto è ben rodato ed efficace”. Questo sistema, previsto dal Piano Nazionale Arbovirosi 2020-2025, integra sorveglianza umana, veterinaria ed entomologica, monitorando zanzare, uccelli selvatici e cavalli, principali serbatoi del virus. Le misure adottate includono controlli rigorosi su trasfusioni e trapianti per prevenire la trasmissione del virus. Il Ministero della Salute, in coordinamento con le Regioni, ha rafforzato le attività di prevenzione, sensibilizzando medici di famiglia e specialisti per identificare tempestivamente i sintomi sospetti. Inoltre, il numero di pubblica utilità 1500, gestito dal Ministero, è attivo per fornire informazioni ai cittadini su come proteggersi.
Sintomi e rischi: chi è più vulnerabile?
Il West Nile virus provoca sintomi lievi o è asintomatico nell’80% dei casi, ma può diventare pericoloso per anziani, persone immunodepresse o con patologie croniche. I sintomi più comuni includono febbre sopra i 38°C, mal di testa, nausea, vomito, dolori muscolari e, in alcuni casi, eruzioni cutanee. Nei casi più gravi, il virus può causare complicanze neuro-invasive, come meningite o encefalite, con esiti potenzialmente letali. Il periodo di incubazione varia dai 2 ai 14 giorni, ma può estendersi fino a 21 giorni nei soggetti immunocompromessi.
“La malattia non si trasmette da persona a persona – spiega Palamara – Il consiglio è quindi quello di proteggersi il più possibile dal contatto con le zanzare, i vettori del virus, e rivolgersi al proprio medico se si hanno sintomi come febbre sopra i 38°C, soprattutto se accompagnata da eruzione cutanea”.
Prevenzione: come proteggersi dalle zanzare
Non esiste un vaccino per il West Nile virus, rendendo la prevenzione l’arma principale. Le autorità sanitarie raccomandano l’uso di repellenti, l’installazione di zanzariere, l’eliminazione di ristagni d’acqua (dove le zanzare si riproducono) e l’adozione di indumenti protettivi, come pantaloni lunghi, nelle aree a rischio. Le disinfestazioni mirate sono in corso nelle zone colpite, come la provincia di Latina, dove la Regione Lazio ha attivato una cabina di regia con l’Istituto Spallanzani e l’ASL locale per coordinare gli interventi.
Confronto con gli anni precedenti
L’andamento epidemiologico del 2025 è in linea con i dati degli anni passati, anche se la concentrazione dei casi a Latina rappresenta una peculiarità rispetto alla distribuzione geografica degli anni precedenti. Nel 2024, l’Italia ha registrato 460 casi di West Nile, con 20 decessi. Nel 2023, i casi sono stati 332, con 27 morti, mentre nel 2022 si sono contati 588 casi e 37 decessi. Questi numeri confermano che il virus, pur non rappresentando un allarme generalizzato, richiede un’attenzione costante, soprattutto nei mesi estivi, quando l’attività delle zanzare è più intensa.
Le misure sanitarie in atto
Il Ministero della Salute ha attivato una serie di misure per contenere la diffusione del virus. La circolare operativa del Gruppo Operativo Arbovirosi (GOA) prevede un rafforzamento della sorveglianza clinica, con particolare attenzione ai territori con circolazione virale documentata, come Latina, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna e Campania. Medici di famiglia, pediatri e specialisti sono stati sensibilizzati per identificare rapidamente i sintomi sospetti e procedere con diagnosi di laboratorio, che garantiscono conferme entro 48 ore dal ricevimento dei campioni. La sorveglianza si estende anche al monitoraggio di zanzare e uccelli selvatici, principali vettori e serbatoi del virus. In Lombardia, ad esempio, il virus è stato isolato in zanzare nelle province di Pavia, Lodi, Cremona e Mantova, mentre un caso di positività è stato rilevato in un cavallo nella provincia di Latina.
Un problema non solo italiano
Il West Nile virus, identificato per la prima volta in Uganda nel 1937, è diffuso in Africa, Asia, Europa, Australia e America. In Italia, il primo focolaio risale al 1998 in Toscana, con casi registrati inizialmente nei cavalli. Dal 2008, anno in cui sono stati confermati i primi casi umani, il virus è diventato un problema sanitario ricorrente, con focolai significativi a partire dal 2018. L’Italia è tra i paesi europei più colpiti, insieme a Grecia e Romania, ma il sistema di sorveglianza integrato garantisce un monitoraggio efficace.




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