A cinquant’anni di distanza dall’anno che cambiò per sempre il mondo, il ’68 in Sicilia è ricostruito e rivive nella mostra documentaria e fotografica promossa dal Centro Zabùt- centro studi e documentazione e la Fondazione Ignazio Buttitta, con la collaborazione dei fotografi Pucci Scafidi, Enzo Brai e Luigi Cocuzza che hanno aperto i propri archivi per offrire allo sguardo attento e curioso della collettività alcuni dei propri scatti.

Il 3 maggio alle 17.00 presso la Sala Mostre della Residenza Universitaria San Saverio in via Giovanni Di Cristina 7 si terrà l’inaugurazione alla presenza dei fotografi, cui seguirà un live di musica meticcia a cura Sisè Kolombalì e Sista Tita della Famiglia del Sud. La mostra sarà visitabile anche il 4 e il 5 maggio dalle 15.00 alle 20.00.

Il ’68 è e rimane nella memoria quell’insieme di atti, gesti, momenti in cui prende forma ed espressione una rabbia collettiva nei confronti del sistema dominante che avrebbe generato il desiderio, vissuto come necessità, della contestazione tout court.
Anche la Sicilia ha avuto il suo proprio ’68, vi sono state manifestazioni, occupazioni di scuole e di facoltà universitarie, assemblee, corsi autogestiti, contestazioni.

Nello specifico il 1968 siciliano si apre e si chiude rispettivamente con due eventi terribili quali il terremoto che investe la Valle del Belìce nella notte fra il 14 e il 15 gennaio, e il massacro dei braccianti siciliani ad Avola, falciati dai mitra della polizia durante uno sciopero il 2 dicembre.
Nel Belìce la terra trema e la politica dimentica. Antiche culture vennero cancellate, il tessuto sociale subì radicale mutamento, la vita civile di migliaia di persone venne sconvolta dalla violenza del terremoto, dall’immobilismo clientelare della classe politica, da un’edilizia in cui l’uso del cemento armato era limitato solo a pochissimi edifici di più recente costruzione. Devastanti furono gli effetti sulla vita delle persone, fortemente radicate al proprio territorio e alle proprie attività agro-pastorali. Fu l’autorganizzazione che fece nascere i comitati di campo tra le tende che chiesero come prima cosa l’allontanamento dell’esercito.

A Palermo, poi, il post terremoto portò la lotta per la casa, con l’abbandono del centro storico, l’occupazione dei quartieri di edilizia popolare che sorgevano nelle periferie e la formazione di comitati che gestirono le mobilitazioni e costituirono gli spazi aggregativi in un contesto di caseggiati-dormitori privi di servizi.

Nel dicembre del ’68 con “strage di Avola”, si accende una lotta operaia che avrebbe coinvolto l’intero paese e che diede origine dello Statuto dei lavoratori. Nell’azione poliziesca, mandata a sparare per reprimere la protesta dei lavoratori che chiedevano l’eliminazione delle gabbie salariali e del caporalato, vi è tutta la preoccupazione del potere centrale di doversi misurare contro il sempre più determinato dissenso popolare.

Ma andando alle origini, le radici del ’68 in Sicilia stanno anzitutto nel luglio del 1960 e nell’opposizione a Tambroni e all’apertura alla destra fascista. Nelle manifestazioni di piazza, a Palermo e Catania, si registrarono numerosi morti. Erano operai, edili sopratutto, e disoccupati, erano comunisti e socialisti. E c’era, per la prima volta, una generazione di giovani studenti che organizzava manifestazioni antimperialiste contro l’intervento americano in Vietnam, una generazione di operai che organizzava lotte di fabbrica e una generazione di proletari senza casa, senza lavoro e senza prospettive.

3 MAGGIO SALA MOSTRE PENSIONATO
Ore 17.00 INAUGURAZIONE
Ore 19.00 musica meticcia live a cura di Sista Tita e Sisé Kolombalì (Famiglia del Sud)