Il giudice Marco Gaeta ha condannato a sei anni di carcere due cugini Agostino e Giuseppe Romano di 43 e 44 anni accusati di avere violentato una turista italo-canadese in una stanza di un bed and breakfast di via Marinuzzi, tra il 2 e il 3 novembre del 2023. I cugini hanno sempre negato tutto ma il giudice li ha ritenuti colpevoli e ha emesso la sentenza al termine del processo che si è svolto con il rito abbreviato. Lo scrive il Giornale di Sicilia. Il pubblico ministero aveva chiesto pene più pesanti: dieci anni per Giuseppe, sette per Agostino ma il Gup, pur riconoscendo le responsabilità di entrambi, ha concesso le attenuanti generiche. Il verdetto arriva dopo un anno e mezzo dall’inizio dell’inchiesta. La donna, che nel frattempo è tornata in Canada, aveva riconosciuto uno degli stupratori grazie al profilo social, indicandolo successivamente agli investigatori. Il complice era stato invece individuato attraverso un’intercettazione telefonica e all’analisi delle celle telefoniche.
I due imputati hanno sempre rispedito al mittente tutti gli addebiti, sostenendo che il rapporto fosse consenziente. La versione della vittima, che ha ripetuto più volte di non cercare vendetta ma verità, è stata diversa fin dall’inizio. Secondo la ricostruzione della Procura, Agostino Romano avrebbe conosciuto la turista al Policlinico, indicandole il reparto in cui era ricoverato il compagno. Da lì si sarebbe fatta accompagnare in giro per la città, poi avrebbe cenato con lui e con Giuseppe Romano a base di pollo, birra e sambuca, fino a salire insieme ai due nella sua stanza della struttura ricettiva.
Da quel momento sarebbe cominciato l’incubo. Durante l’incidente probatorio, assistita dall’avvocato Ivana Rigoli, aveva raccontato di essere stata costretta a bere e poi abusata sessualmente dai due fino a perdere completamente i sensi. In base alla sua testimonianza, che evidentemente è stata giudicata del tutto credibile, Agostino avrebbe cercato di baciarla mentre si trovavano sul divano, ma lei avrebbe riso nervosamente e rifiutato. «Uno dei due cercava di afferrarmi e baciarmi. Io mi mettevo a ridere e gli dicevo di no.
Eravamo sul divano, questo è l’ultimo ricordo preciso che ho», aveva spiegato la ragazza che poi avrebbe avuto la sensazione di essere stordita, come se la sua capacità di reagire fosse venuta meno fino al buio totale. Nel corso del processo è emerso che la trentaseienne avrebbe assunto cannabis durante la serata ma, nonostante ciò, il giudice ha ritenuto che si fosse trovata in uno stato di alterazione tale da non potere opporre resistenza.
Un concetto peraltro rafforzato da alcune conversazioni intercettate tra le mogli dei due cugini: «I mongoloidi hanno capito che questa non capiva niente», diceva una delle donne parlando dell’episodio. E in un’altra occasione, pur essendo sicure che lei aveva fatto di tutto per consumarli, erano state perfino più esplicite: «Tuo marito per me, quando quella gli si buttò nell’ascensore, tuo marito, siccome sono scaltri hanno capito che si poteva fare. Hai capito? E chiamò il crasto (si riferisce al marito Giuseppe, ndr) e l’altro crasto gli fece capire, perché lo sai che tutti e due hanno un’intesa. Il crasto gli fece capire: Giuseppe, vedi che si può fare. Il crasto è impazzito pure e si preparò. Hai capito?».
Frasi che, per l’accusa, avrebbero dimostrato di come Giuseppe e Agostino fossero ben consapevoli della fragilità della ragazza e ne abbiano approfittato. Il fatto che lei si trovasse in vacanza, in un momento emotivamente delicato per il ricovero del fidanzato, ha avuto un peso importante nella valutazione della sua affidabilità.






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