Almeno 10 chili di droga al giorno si spaccia e si consuma nelle carceri di tutto il Paese”. L’allarme parte dal segretario generale del Sindacato Polizia Penitenziaria Aldo Di Giacomo per il quale “l’operazione nel carcere di Taranto con la “scoperta dell’acqua calda”, vale a dire che gli uomini dei clan si servono di telefonini per il più comodo spaccio di droga dentro e fuori il carcere e per ordini agli uomini sui territori, è solo la punta dell’iceberg.

Autentiche centrali di spaccio sono a Poggioreale con il quartiere del penitenziario trasformato in “piazza riservata”, in istituti siciliani e del Nord come riprova ieri l’altro il sequestro di droga nel carcere di Pavia.

“È un giro che – afferma Di Giacomo – vede i familiari dei detenuti pagare direttamente i clan per la fornitura in cella di stupefacenti e l’alternarsi di pusher fuori e dentro le celle, grazie in particolare ai detenuti in permesso lavoro che fanno la spola”.

“Con introiti per i clan di milioni di euro molto rari sono diventati i casi, come quello avvenuto nel carcere di Rimini, delle madri che portano al figlio la droga approfittando del colloquio. Non si sottovaluti – continua il segretario del S.PP. – che più di quattro detenuti su 10 sono tossicodipendenti per i quali il cosiddetto “programma a scalare” con la somministrazione di metadone ha dato risultati molto scarsi. Non a caso la recidività di reato per questi detenuti, una volta fuori, è altissima. A questi si deve aggiungere che tre detenuti su 10 sono solo spacciatori. Quanto ai telefonini, strumento fondamentale per i traffici, è difficile aggiornare il numero cellulari e sim ritrovati nei 190 istituti italiani. Nello scorso anno oltre duemila. Numeri che purtroppo non indicano fedelmente la situazione”.

“Questo significa – aggiunge Di Giacomo – che per i capi delle organizzazioni criminali è una consuetudine diffusa impartire ordini con i telefonini, mentre si è rivelato un autentico flop il programma per dotare almeno un primo numero di carceri di strumentazioni tecniche idonee a rilevare la presenza nelle celle di telefonini. Ebbene, dopo l’annuncio si sono perse le tracce”.

E ancora: “La politica, il Parlamento e il Ministro di Grazia e Giustizia aprano gli occhi e si rendano conto che la situazione di illegalità e non sicurezza nel carcere, dovuta principalmente a responsabilità politiche, si ripercuote direttamente e pesantemente sui cittadini fuori dal carcere, perché la situazione sempre più difficile dei nostri istituti di pena è la cartina al tornasole dell’insicurezza fuori e nelle città”.

Di Giacomo è impegnato in un tour tra gli istituti penitenziari delle principali città e nello sciopero della fame giunto al dodicesimo giorno per accendere l’attenzione di Parlamento e politica sull’emergenza del sistema carcerario e sulla sicurezza dei cittadini dopo le prime tappe del tour a Napoli, Foggia, Campobasso annuncia nuovi sit in di protesta.

Il segretario del S.PP. sta pagando in prima persona l’esposizione contro la criminalità: dopo il pacco bomba fatto recapitare nella sua abitazione, lettere e mail dai toni chiaramente di intimidazione ed altro, ha ricevuto sempre a casa sua una lettera contenente due proiettili di arma da fuoco e un messaggio di minacce dirette a lui e alla sua famiglia.

“Ma – sottolinea – non mi lascio intimorire come dimostrano le prime azioni di protesta a cui faranno seguito altre più clamorose sino al sit-in davanti al Parlamento organizzato nella prossima settimana. Ad incoraggiarmi sono già oltre 8 mila i messaggi di solidarietà e sostegno arrivati nel giro di pochi giorni.
Se lo Stato ha ammainato bandiera bianca e delegato il controllo degli istituti penitenziari ai capi clan, ed intende avviare l’operazione “liberi tutti”, vale a dire 20mila detenuti fuori, magari a rafforzare le file degli spacciatori di droga, almeno noi non ci rassegniamo affatto, siamo e saremo a tutela della legalità, dell’autentica giustizia, della sicurezza dei cittadini”.

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