La Procura di Palermo ha chiesto il rinvio a giudizio di 42 persone accusate a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione e intestazione fittizia di beni, traffico di armi e spaccio di droga.
I nomi
Il processo è stato chiesto per il boss Maurizio Di Fede, per Antonio Lo Nigro, Girolamo Amato, Vittorio Emanuele Bruno, Ludovico Castelli, Francesco Catalano, Paolino Cavallaro, Settimo Centineo, Antonino Chiappara, Giuseppe Ciresi, Giuseppe Cottone, Antonietta De Simone, Giovanni Di Simone, Vincenzo Di Fede, Gioacchino Di Maggio, Pietro Paolo Garofalo, Sergio Giacalone, Francesco Greco, Antonino Lauricella, Ignazio Lo Monaco, Salvatore Lotà, Domenico Macaluso, Tommaso Militello, Maria Mirabella, Michele Mondino, Rosario Montalbano, Antonino Mulè, Tommaso Nicolicchia, Francesco Oliveri, Giuseppe Olivia, Onofrio Claudio Palma, Umberto Palumbo, Giuseppe Parisi, Pietro Parisi, Vincenzo Petrocciani, Emanuele Pestifilippo, Leonardo Rizzo, Cosimo Salerno, Andrea Seidita, Gaetano Terrana e Luciano Uzzo e Girolamo Celesia.
Non ancora fissata la data dell’udienza preliminare
Il gip non ha ancora fissato la data dell’udienza preliminare. L’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Guido, disarticolò i clan di Brancaccio e Ciaculli e fece luce su decine di estorsioni. Nel corso dell’indagine il boss Di Fede venne intercettato mentre imprecava contro i giudici Falcone e Borsellino, definiti “due cornuti”, e ordinava alla sua interlocutrice di non mandare la figlia alle commemorazioni organizzate per ricordare i due magistrati.
Estorsioni e terrore a Brancaccio 20 anni al boss Di Fede
Non sapendo di essere intercettato intimava a un’amica di non far partecipare la figlia alle commemorazioni delle stragi in cui morirono i giudici Falcone e Borsellino. Il gup di Palermo ha condannato il boss Maurizio di Fede a 20 anni di carcere per associazione mafiosa ed estorsione. Condannati a pene comprese tra 5 anni e 4 mesi e 20 anni anche 11 coimputati: colonnelli, gregari ed ed estortori del pizzo del mandamento di Brancaccio-Ciaculli. Solo uno è stato assolto: Giuseppe Giuliano.
Il processo nasce da una indagine dei carabinieri che, nel 2021 portò in cella 16 persone. L’inchiesta confermò la pervasività dei clan nel tessuto economico e sociale con commercianti e imprenditori pronti a chiedere al capomafia locale l’autorizzazione per aprire le attività e a pregare l’esattore del pizzo a non scrivere il proprio nome nel libro mastro delle estorsioni per evitare di dover rendere conto agli inquirenti qualora il registro delle riscossione fosse trovato.
Furono oltre 50 le estorsioni scoperte dagli investigatori. Le vittime non sporsero denuncia e ora rischiano il rinvio a
giudizio per favoreggiamento aggravato. Supermercati, autodemolitori, macellerie, bar, discoteche, farmacie, panifici,
imprese di costruzione, rivendite di auto: nel mandamento di Brancaccio Ciaculli pagavano tutti. Tra i fermati poi processati anche Giuseppe Greco, nipote di Michele Greco detto “il papa”, condannato a 16 anni. Greco vantava importanti reazioni con la
mafia americana. Secondo gli inquirenti poi, controllava capillarmente il territorio intervenendo anche nella compravendita di terreni e immobili e gestendo il mercato della droga.
L’inchiesta della procura ha svelato quali erano gli affari all’interno del mandamento: il traffico di droga era quello principale, che garantiva maggiori guadagni. Meno redditizio il pizzo che però veniva imposto a tappeto per controllare il territorio. Tra gli imputati, ma deceduto a giugno, c’era anche Ignazio Ingrassia, considerato uomo di fiducia di Greco.
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