C’è un fronte aperto in Sicilia. E desta molta preoccupazione. La chiamano Cig, ma non è altro che la vecchia e consuetudinaria cassa integrazione. Purtroppo, la Cig è stata ed è una compagna di viaggio della recente storia industriale siciliana.

Di certo non un bel primato per un territorio la cui ambizione era svilupparsi, ma costretto in tempi recenti e meno recenti, da una dozzina d’anni a questa parte, a fare i conti con i frutti amari della globalizzazione In un mondo globale, le industrie, gli opifici e gli stabilimenti della nostra Sicilia, globali non erano. Ed il conto lo stiamo ancora pagando, sia in termini di mancato sviluppo, sia rispetto alla piaga, mai sanata, della crisi occupazionale.

La pandemia da Covid 2019 ha avuto un effetto devastante sulla gestione della cassa integrazione in Sicilia. Il Re è nudo. Spuntano le magagne di una fragilità sistemica e le incongruenze di un moloch burocratico ed amministrativo, letteralmente sommerso, affogato da una montagna di richieste. I numeri sono impietosi: a due mesi di distanza dallo scoppio della crisi sanitaria – i dati sono aggiornati ad un paio di giorni fa – secondo l’Inps, l’amministrazione regionale avrebbe trasmesso poco più di 500 decreti, relativi alle posizioni di 1230 lavoratori.

Notte fonda, insomma, per l’esercito che in Sicilia attende la Cig per andare avanti. Basti pensare che in Sicilia, secondo alcune rilevazioni, i lavoratori che attendono ossigeno finanziari dalla Cig sono oltre 150 mila. Mamma Regione tenta disperatamente di correre ai ripari. Ma, almeno in questa prima fase gestionale, lo smart working sembra attecchire in maniera blanda al sistema burocratico della nostra terra.

Una Caporetto, inutile far finta di nulla. Perché, la vita di oltre 150 mila persone è appesa all’agilità del sistema. Ed è uno scandalo cui porre immediato rimedio.

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