Il coronavirus ha colpito l’Italia. Non sono un virologo e non mi addentro sui temi dell’eziologia e della natura stessa di questa nuova malattia. Per la comunità scientifica si tratta di una sindrome polmonare con un basso indice di letalità ma con una altissima capacità di diffusione. E quindi?
Vista dalla periferia, questa vicenda ha parecchi punti oscuri. Continuo a dubitare della versione ufficiale, che consiste nella ricostruzione di un virus emerso dal mercato del pesce di Wuhan. E’ una soluzione “comoda”, in grado di mettere da parte scenari più complessi, di natura politica e geopolitica. Chiunque azzardi delle ipotesi diverse da ciò che la narrativa dominante impone, viene immediatamente bollato come complottista.
Eppure ci sono una serie di fatti che non possono essere trascurati. Primo punto: le proteste del governo cinese, alla fine della scorsa primavera, per l’invio di campioni di virus letali a Wuhan, da parte di un laboratorio canadese collegato all’Oms. Lo scoppio dell’epidemia in quella stessa provincia cinese dove soltanto venti giorni prima (una coincidenza, il periodo dell’incubazione…) si erano celebrati i campionati olimpici militari. Lascia di stucco, poi, l’esercitazione “Event 201”, una simulazione di pandemia da coronavirus organizzata dalla John Hopkins University, la stessa autorità scientifica che si preoccupa di fornire oggi, in tempo reale, la diffusione del Covid 2019.
Ci sarebbero altri aspetti su cui preferisco non intervenire, poiché sono strettamente connesse a una sapienza scientifica a me estranea. Ma chiunque può leggere i report scientifici di prestigiose riviste come Lancet, dove la mappa del coronavirus viene spiegata come una singolare evoluzione, un mix di varie malattie letali – compreso l’Hiv – con un target di potenziali soggetti a rischio che può essere segmentato per etnie. Si, proprio per etnie.
Questo il quadro generale. Per correttezza scientifica, nessuna ipotesi andrebbe esclusa. Eppure, in nome del politicamente corretto (che più d’una volta muta in eticamente corrotto) la narrativa dei media tende ad escludere quel semplice concetto, che vide in Giovanni Falcone il suo precursore, “follow the money”. In pratica, mi chiedo e vi chiedo, questa epidemia “cui prodest”? Una risposta si può leggere nei dati della produzione industriale cinese. Vedremo.
Passiamo all’Italia. E’ inutile dire quanto dolore si provi, nel pensare a chi già sta attraversando questa crisi. Lombardia, Veneto e Lazio sono già state colpite. E si contano le prime vittime. E’ da sciacalli puntare il dito contro qualcuno, quando una crisi di questo tipo rischia di investire la nostra società. Il rischio di epidemia è in agguato.
Sostenere questa tesi, non è certo una forma di paranoico complottismo. Sono i fatti a parlare. Hanno ragione i virologi, come Burioni e Ricciardi: da settimane indicavano le scelte da compiere, chiedendo al governo di obbligare alla quarantena tutti i cittadini giunti in Italia dall’oriente. Non è stato fatto. Sono stati bloccati i voli diretti dalla Cina. Ma in un mondo globale, l’unico effetto sortito da quella misura è stato quello di provocare la comprensibile reazione rabbiosa da parte del governo cinese.
“Avrebbero dovuto quarantenare le persone che tornavano dalle zone a rischio della Cina – ha spiegato Ricciardi dell’Oms – Avevo detto anche io – oltre al dott. Burioni – che tutti quelli che sbarcavano dalla Cina dovevano essere messi in quarantena. Non so perchè non siamo stati ascoltati. Il Governo ha sopravvalutato l’efficacia del blocco dei voli diretti – che ritarda soltanto perché la gente comunque si muove – e avrebbe dovuto quarantenare le persone che tornavano dalle zone a rischio della Cina. Indipendentemente dall’età, dal sesso, dalla religione, dovevano essere quarantenate”. Non è stato fatto. Cosa succede adesso? Non lo so, ma a giudicare dalle riflessioni che arrivano dall’Oms, non sarà così semplice bloccare la diffusione del contagio.
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