Non sono un medico, non posso dire con certezza l’evoluzione che prenderà l’edizione 2019 del coronavirus. Nessuno ha le idee chiare: sono credibili i dati forniti dalle organizzazioni internazionali e dal governo cinese? Oppure, come dimostra il caso del sito Tencent (un portale cinese) siamo di fronte ad un’epidemia molto più estesa e con indici di mortalità più alti?
Il rumore di fondo crea confusione ed è la migliore miscela incendiaria per scatenare la tempesta perfetta: un evento catastrofico (di sicuro sul piano economico e finanziario, per quanto riguarda la salute, si vedrà) inaspettato in grado di fornire ulteriore combustibile ad un mercato già fiaccato dalla crisi. Sia chiaro, non sto parlando delle difficoltà dell’economia cinese. Con tutto il rispetto per quel meraviglioso popolo, vorrei fare luce sui rischi che corre anche il Sistema Italia.
A che punto si trova il nostro Paese? Leggendo i dati fondamentali dell’economia siamo ad un passo dalla recessione: il commercio estero a novembre 2019 segnava il -4.1%, a novembre 2019 la produzione nelle costruzioni il -4%, ad ottobre 2019 l’agricoltura il -1.3% e per finire, il dato dei consumi di petrolio sono tornati ai minimi del 2007. E tutto questo prima del “coronavirus”.
Può andar peggio? Si, purtroppo. I danni all’economia cinese si stanno ripercuotendo a catena sul mercato globale. C’è almeno qualcuno che può festeggiare in questo contesto drammatico? Sì. La Bank of China ha dovuto iniettare miliardi su miliardi di yuan per tener in vita il sistema finanziario cinese ed evitare l’esplosione delle bolle speculative. E’ la versione Dragone rosso del Quantitative Easing che tiene in vita l’Euro. E gli stessi meccanismi di protezione sono attivati a pieno regime anche negli States ed in Giappone. Miliardi su miliardi sono stati stampati dal nulla ed hanno spinto in alto le quotazioni in borsa, all over the world. Di questo fiume di denaro, neanche un centesimo è finito nelle tasche di giovani, precari, disoccupati e della piccola e media borghesia o del ceto operaio, sempre che ce ne sia ancora uno.
Per quanto paradossale possa sembrare, il coronavirus 2019, nel suo profilo finanziario, è una opportunità per concentrare ancor di più la ricchezza su pochi ed impoverire ancor di più le moltitudini. Voi direte, “ma tanto è in Cina, cosa può accadere qui?”. In realtà, se sul piano sanitario il contagio in Europa non è esploso, sul piano finanziario, il vero bersaglio del virus è proprio l’Europa.
Per anni, abbiamo usato la Cina come mercato di approvvigionamento a basso costo. Se dovesse peggiorare la situazione negli indotti cinesi – e Wuhan, epicentro della malattia è un distretto industriale interconnesso con l’Europa – molte aziende italiane ed europee si troveranno con l’acqua alla gola. A rischio, poi, ci sono i miliardi del turismo cinese, che aveva puntato sull’Italia come prossima meta su cui investire. In gioco, secondo gli analisti del settore, ci sono quasi 15 milioni di presenze in meno per il 2020. Insomma, dalla Cina è arrivato un cigno nero che incute paura e rischia di esasperare ancor di più diseguaglianze ed ingiustizie sociali.
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