Condanne pesanti, per complessivi tre secoli, sono state chieste dai pm Francesco Grassi, Francesca Mazzocco e Caterina Malagoli per i 33 imputati finiti in carcere il 25 maggio dello scorso anno, quando l’operazione ‘Verbero’ smantellò la cosca di Pagliarelli a Palermo.

Droga ed estorsioni erano le attività principali degli imputati, che hanno scelto il rito abbreviato.
Le pene più alte sono state chieste al Gup Wilma Mazzara per i presunti capi della cosca: 22 anni per Vincenzo Giudice, 20 per Alessandro Alessi e Giuseppe Massimiliano Perrone.

Quattordici gli anni chiesti per Andrea Calandra, Antonino Spinelli e Concetta Celano, detta Cettina, quest’ultima siracusana ma da molti anni residente a Palermo, la mente, secondo gli inquirenti, di un ingente traffico di droga tra il Piemonte e la Sicilia.

Chiesti 11 anni per Carmelo Migliaccio, Matteo Di Liberto, Aleandro Romano, Alessandro Anello, Rosario Di Stefano e Giosuè Castrofilippo; 10 anni e 8 mesi per Stefano e Giuseppe Giaconia; 10 anni per Salvatore Sansone.
Otto anni è la richiesta per Michele Armanno, Giovan Battista Barone, Carlo Grasso, Giuseppe Castronovo, Giuseppe Di Paola, Giovanni Catalano e Giovanni Giardina; 6 anni per Vincenzo Buccheri, Domenico Nicolicchia, Cosimo Di Fazio, Angelo Milazzo, Paolo Castrofilippo, Daniele Giaconia, Francesco Ficarotta. Soltanto per Antonino Calvaruso sono stati chiesti 4 anni di reclusione.

La cosca di Pagliarelli, prima del blitz che portò tutti in carcere, aveva cercato di fare affari in diversi ambiti. Gli affiliati avevano provato a mettere le mani persino sui lavori di rifacimento dei padiglioni del Policlinico con un tentativo di estorsione: avevano chiesto all’azienda edile Bosco ben 500mila euro ma erano stati denunciati dagli imprenditori, vessati per mesi con furti, minacce ed avvertimenti. Protagonisti dell’estorsione Giuseppe Perrone, capo del clan di Pagliarelli e Vincenzo Bucchieri.

Oltre all’estorsione, i due avrebbero tentato di ottenere il subappalto dei lavori a favore della impresa edile dello stesso Perrone, ‘suggerendo’ i fornitori di calcestruzzo e l’assunzione di persone a loro vicine.

Tra i coinvolti nell’inchiesta anche il commissario di polizia municipale Gaetano Vivirito e Antonino Calvaruso: secondo la Procura Vivirito in cambio di un pagamento di 350 euro, avrebbe evitato la chiusura del parcheggio gestito da Calvaruso nonostante quest’ultimo fosse assolutamente sprovvisto di licenza e regolari permessi per svolgere l’attività.