La mia relazione con lo Stato ha sempre avuto al centro la lealtà e l’onestà e anche nell’esperienza che sto per raccontare questi elementi sono stati fondanti.
Il 6 novembre registriamo un caso di positività covid-19 in famiglia, subito avvisiamo il medico curante che si premura a sua volta di avvertire le autorità competenti e invita tutto il nucleo familiare, comprensivo di cagnolino, all’isolamento fiduciario in attesa che l’Unità Speciale di Continuità Assistenziale (USCA) venga a fare i tamponi a tutti. Ci siamo sentiti cittadini responsabili del nostro operato e rispettosi del nostro prossimo evitando di mettere a rischio l’altrui salute”.

E’ il racconto di Michele Badagliacca che dal quel giorno è prigioniero nella propria abitazione.

“I primi giorni sono trascorsi con la paura derivante dall’avere il nemico dentro casa, ma al contempo con la fiducia di poter superare il momento indenni.

Il Covid-19 è subdolo e divisivo ma, facendo di necessità virtù, abbiamo trasformato la nostra abitazione in una trincea di guerra dove le sedie hanno assolto al ruolo di linee di confine tra gli spazi che a quel punto erano stati divisi per far posto al distanziamento e all’isolamento – aggiunge Badagliacca – Dopo le prime due settimane e fortunatamente tutto procedeva bene relativamente alla salute, a quel punto la preoccupazione iniziale lasciava spazio alla speranza di poter nuovamente riprendere i ritmi, seppur anomali, di questo nostro tempo.
Intanto, grazie alla grande solidarietà familiare e di vicini decisamente speciali, siamo riusciti a ricevere la spesa, gettare la spazzatura etc… ma nel frattempo il povero cagnolino doveva subire una regressione e tornare ad espletare le funzioni primarie in balcone, ignaro di quanto stesse accadendo”.

A quasi un mese dalla positività non ha avuto la possibilità di contattare l’Usca.  “Il tempo è passato inesorabile e ad oggi dopo essere trascorsi 27 giorni dall’aver dichiarato alle autorità competenti la nostra condizione, non abbiamo ricevuto alcuna visita da parte dell’Usca né tantomeno comunicazioni – conclude Badagliacca – Ho contattato tutti i numeri possibili e immaginali ma nulla, nessuna risposta. Ieri sono riuscito a parlare con il Ministero della salute al numero 1500 e dopo aver descritto la nostra situazione mi hanno passato un medico che si è scusato per quanto occorso e mi ha garantito che avrebbe segnalato la vicenda (sollecitando l’intervento) alle autorità competenti regionali. Siamo di fatto sospesi abbandonati a noi stessi senza alcuna possibilità di venirne a capo, privati della libertà che è un diritto primario garantito dalla nostra Costituzione.

Mi rammarica ulteriormente aver appreso che quanto sta accadendo alla nostra famiglia pare sia diffuso e ciò rende la cosa ancora più inaudita. Mi chiedo se dal punto di vista giuridico lo Stato possa tenere chiusa una famiglia ad libitum, ovvero se ci sia un tempo oltre il quale si configura un vero e proprio stato di detenzione domiciliare senza aver commesso alcun reato e pur avendo rispettato tutte le norme. Per queste ragioni ritengo che lo Stato abbia assolutamente disatteso quel patto di lealtà reciproca che lo lega ai propri cittadini”.

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