Disoccupazione al 23,1%, un milione e 700 mila famiglie povere, deboli i consumi delle altre famiglie e crescita decisamene lenta. Sono le condizioni in cui versa la Sicilia.

“Crescita assai moderata per l’economia siciliana nella prima parte di quest’anno anche per la debolezza dei consumi delle famiglie residenti, consumi frenati anche dalla poco favorevole dinamica dell’occupazione” afferma Pietro Busetta, responsabile scientifico del Report Sicilia, commentando i dati del Report Sicilia, realizzato dal Diste Consulting per Fondazione Curella. “Nonostante la spesa sia contratta – ha proseguito Busetta – si è tuttavia affiancata una positiva accelerazione degli investimenti in beni strumentali, sostenuti, tra l’altro, dagli incentivi fiscali dovuti alle leggi di bilancio dell’ultimo biennio”.

Il modesto recupero dell’economia, emerso negli anni recenti, non arresta la disoccupazione che continua a rappresentare un problema sociale di massima importanza: colpite nel primo trimestre scorso più di 400 mila persone. Inclusi anche coloro che “non cercano attivamente un’occupazione”, ma sarebbero disponibili a lavorare qualora se ne presentasse l’occasione, il numero dei disoccupati “potenziali” sfiora il milione. Se s’includessero le persone che svolgono non volontariamente un’attività a tempo parziale il numero sarebbe ancora più inquietante.

Il tasso di disoccupazione “ufficiale” si è aggirato nel primo trimestre intorno al 23,1% (1,1 punti in più dell’anno precedente), mentre il “tasso di mancata partecipazione” comprese le persone che non cercano “attivamente” lavoro ha toccato il 41,6% (41,3% nel primo trimestre 2017).

La spesa dei residenti quest’anno continuerà a risentire, oltre che della precarietà del mercato del lavoro, delle condizioni di disagio di larghi strati della popolazione: si stimano circa 1 milione e 700 mila siciliani in condizioni di povertà relativa, dei quali quasi 700 mila in povertà assoluta (100.000 in più dell’anno precedente), 1,3 milioni di famiglie che non possono far fronte a spese impreviste, 330 mila giovani (tra i 15 e i 29 anni d’età) che non studiano e non lavorano.

In Emilia Romagna, una delle regioni più sviluppate del Paese – aggiunge Pietro Busetta – il tasso di disoccupazione del primo trimestre è pari al 6,5% – era al 7,0% dodici mesi prima – mentre il tasso di occupazione arriva al 68,4%. Un semplice calcolo dimostra che per pervenire a quei parametri ottimali gli occupati in Sicilia dovrebbero ammontare a non meno di 2 milioni 250 mila unità, per cui mancherebbero all’appello circa un milione di lavoratori”.

Le previsioni 2018. “Nel secondo semestre, si prefigura una lieve, ulteriore accelerazione della domanda e della produzione delineata già nel primo semestre e un ritorno in territorio positivo dell’occupazione, dopo la débâcle del primo trimestre (-0,7% su base annua). L’aumento del PIL è stimato pari allo 0,9%, un tasso prossimo a quello del 2017 (+0,8%) ma migliore della “crescita zero” di due anni fa”, osserva Alessandro La Monica, presidente Diste Consulting.

La fase di debole recupero dell’occupazione segnalata nel 2017 (+1,1%) rallenterà allo 0,7%, con la creazione netta di appena 9.000 posti di lavoro, mentre il tasso di disoccupazione si stabilizzerà intorno al 21,3%, solo 0,2 punti in meno del 2017. I consumi delle famiglie (residenti e non), conserveranno una dinamica modesta (+0,7%) sostenuta per la maggior parte dall’espansione della spesa dei non residenti, mobilitati tra l’altro dagli eventi collegati al riconoscimento della città di Palermo quale Capitale Italiana della Cultura 2018.

Una grande mano all’economia siciliana arriverà dall’ulteriore crescita degli investimenti di sostituzione di macchinari e attrezzature (+3,6% dal +3,1% del 2017), incoraggiati dalle agevolazioni fiscali riconfermate o rafforzate dall’ultima legge di bilancio, dall’accresciuta disponibilità delle banche a concedere prestiti e dal basso costo del denaro, dalla necessità di rimpiazzo di equipaggiamenti ormai obsoleti. Per gli investimenti in costruzioni si sconta un incremento del 2,1% (+0,6% nel 2017) ricollegato alla costante progressione degli interventi di riqualificazione ed efficienza energetica del patrimonio immobiliare, alla discreta rianimazione dell’attività nel comparto della costruzione d’immobili destinati ad attività economiche, nonché alla frenata della tendenza cedente degli investimenti del segmento abitativo. Al contrario, si manterrà parecchio depresso il segmento dei lavori pubblici a causa della vischiosità nell’utilizzo dei fondi europei e della farraginosità dei meccanismi di spesa.

Sul versante della produzione tutti i grandi rami di attività segneranno aumenti, sia pure discordanti. Nell’industria in senso stretto il valore aggiunto registrerà un incremento in volume prossimo al 2,2%, in lieve regresso rispetto alla dinamica del 2017 (+2,6%) favorita dall’ottima performance delle esportazioni di manufatti. Per l’agricoltura, silvicoltura e pesca si stima una crescita del 3,2% che recupera una parte del calo precedente (-4,2%). Il valore aggiunto prodotto dal settore delle costruzioni conseguirà un incremento dell’1,8%, dopo l’impercettibile rianimazione segnalata nel 2017 (+0,3%). Nel variegato insieme di attività dei servizi si prevede il proseguimento – con analoga cadenza – della fase di risalita inaugurata due anni fa (+0,7%).

“Va chiarito – sottolinea Alessandro La Monica – che nonostante la maggior parte degli indicatori rilevino dinamiche congiunturali positive, gli effetti della crisi sono stati talmente devastanti per il già debole tessuto produttivo siciliano che i benefici sono assolutamente irrilevanti. La crescita del PIL dello 0,9% prevista per il 2018 e dell’1,2% stimata per il 2019, l’occupazione sempre su dinamiche positive sia quest’anno che l’anno venturo, il tessuto delle imprese in crescita di oltre un punto, gli investimenti che viaggiano con incrementi abbondantemente oltre i tre punti – continua La Monica – non sono certo sufficienti ad alleviare una situazione di grave disagio con un pesante tasso di disoccupazione e 250.000 famiglie su un totale di 2 milioni in condizione di povertà assoluta, le 13.300 imprese scomparse, non possono sradicare la percezione che la crisi non è finita”, conclude La Monica.

Le previsioni 2019. Per la prima volta nell’ultimo decennio, l’anno venturo, l’evoluzione dell’economia siciliana potrebbe risultare più favorevole rispetto alla dinamica nazionale. Il “sorpasso”, atteso arrivare in una fase di rallentamento dell’economia italiana, sarebbe favorito più che altro dalla peculiare struttura produttiva della Sicilia, fortemente sbilanciata a favore dell’agricoltura e del terziario pubblico e privato, settori che avvertono meno gli effetti delle tensioni congiunturali. Paradossalmente, al sorpasso contribuirebbe lo scarso peso delle esportazioni sui mercati esteri, previsti entrare in fibrillazione per la probabile intensificazione delle misure protezionistiche. L’esercizio di previsione sconta comunque un graduale anche se lento rilancio delle opere pubbliche, con la messa in moto di un numero non trascurabile di attività industriali. Le proiezioni indicano una crescita del PIL in volume dell’1,2% a fronte di un +1% su scala nazionale. Allo sviluppo del prodotto non si assocerà però un alleggerimento delle difficoltà esistenti sul mercato del lavoro: l’occupazione crescerà dello 0,6%, mentre il tasso di disoccupazione dovrebbe conservare l’elevato livello del 2018 (21,3%). Al sostegno fornito dagli investimenti (+2,9%) si affiancherebbe una discreta ripresa di tono dei consumi (+1,1%), che beneficeranno dell’espansione del turismo. Dal lato della produzione si prevedono sviluppi estesi sia ai settori che producono beni sia a quelli che erogano servizi.

Le dinamiche provinciali nel biennio 2015/2017: su crescita e disoccupazione i dati migliori per Ragusa, Caltanissetta e Agrigento

La fase di debole e discontinua evoluzione dell’economia siciliana nel corso del biennio 2015/2017 è la risultante di andamenti fortemente discordanti a livello delle singole realtà provinciali. Stime preliminari sul valore aggiunto prodotto, elaborate sulla base di un set statistico più ridotto di quello disponibile per l’intera regione, hanno permesso di rilevare una sostanziale asimmetria territoriale, con alcune aree contraddistinte da tassi di crescita prossimi alla media nazionale e altre da cedimenti significativi.

Più in particolare, la provincia più virtuosa si è confermata Ragusa, con una crescita cumulata tra il 2015 e il 2017 del 2,8% in termini reali, a fronte di un +0,4% dell’intero sistema economico siciliano e di un +2,2% dell’economia nazionale. Procedendo in ordine decrescente, la seconda posizione è occupata da Caltanissetta con un incremento del 2%, cui segue al terzo posto la provincia di Agrigento che denuncia un +1,9%. Con Catania collocata al quarto posto (+1,7%) e Enna al quinto (+1,5% tra il 2015 e il 2017) si conclude l’elenco delle province che hanno manifestato una dinamica positiva. Andando alle altre, il panorama diviene depressivo, con flessioni del valore aggiunto che passano da un -0,3% di Siracusa a un -0,5% di Palermo, fino a declinare a -1,4% a Messina e a -1,9% a Trapani.

La positiva performance delle tre province collocate sul podio si è accompagnata ad alleggerimenti del tasso di disoccupazione: a Ragusa l’indicatore è sceso dal 19,5% del 2015 al 18,8% nel 2017, a Caltanissetta dal 22,2 al 17,7% e ad Agrigento dal 26,2% al 23%. Delle restanti sei province regionali solo due hanno registrato miglioramenti: Siracusa (dal 25,7% al 22%) e Palermo (23,9% nel 2015 e 21,3% due anni dopo). Per contro, il tasso di disoccupazione è peggiorato a Catania (dal 16,2 al 18,8%), a Enna (dal 21,5 al 24,7), a Messina (22,5% nel 2015 e 24,8% nel 2017) e a Trapani (da 16,7 a 24,4%).