C’è una Sicilia che non si rassegna a sparire. Una Sicilia fatta di parole antiche, di ricordi custoditi come tesori, di accenti che suonano come casa anche a migliaia di chilometri di distanza. È la Sicilia di Dario Cascio, palermitano trapiantato a Cork, in Irlanda, noto sui social come “The Sicilian Wanderer”.
Sul suo profilo instagram si definisce “custode di storie siciliane con un forte accento palermitano”, ma il suo non è solo un modo per presentarsi: è una missione, portata avanti con costanza, passione e un pizzico di nostalgia. Noi lo abbiamo intervistato per i lettori di BlogSicilia.
Sessanta secondi, un cunto, una Sicilia che non si dimentica
Tutto comincia da lì, da un bisogno quasi fisico di non lasciar morire la lingua siciliana, quella vera, vissuta, imparata in famiglia. Dario, che oggi lavora nel campo dell’intelligenza artificiale e della linguistica, un giorno si trova a dover spiegare a un collega che sì, il siciliano esiste, ma l’altro lo guarda perplesso. Ed è lì che scatta qualcosa.
“Per me è sempre stata la mia lingua madre, ma mi sono reso conto che non la conosce quasi più nessuno. E questo è un problema. Da lì ho acceso la videocamera e ho registrato i primi ‘Sessanta SeCunti’.”
Nasce così un format semplice, ma potentissimo: pillole da un minuto in cui si raccontano parole, episodi, detti, leggende e personaggi siciliani, spesso legati alla memoria di suo nonno, una figura centrale nel suo immaginario.
Quello che nasce quasi per gioco, per raccontare qualcosa alla sua famiglia, cresce. E cresce tanto. Fino a portarlo questa estate sul maxischermo dello stadio Renzo Barbera, davanti a 31.000 persone, per aprire una partita del Palermo. Non un palco qualunque, ma uno dei luoghi simbolo della città, carico di identità, tifo e appartenenza.
Dario racconta quel momento con il sorriso stampato sul volto, ma senza nascondere l’emozione profonda, perché per un tifoso cresciuto con le radiocronache, le partite della domenica e i colori rosanero nel cuore, essere lì, non tra il pubblico, ma al centro della scena, è qualcosa che ha il sapore di un sogno.
Il dialetto, la memoria orale, i racconti del nonno diventano contenuto, cultura, spettacolo e Dario ogni lunedì si trasforma per Sessanta SeCunti “da spettatore a protagonista, da figlio della città a voce narrante della sicilianità”.
La Sicilia che resta dentro
Dario è via da sedici anni. Dopo l’infanzia a Palermo, nel quartiere di San Lorenzo, e una laurea in Relazioni Internazionali, fa le valigie e parte. Prima Montreal, poi la Germania, infine l’Irlanda, dove vive e lavora nel settore della linguistica e dell’intelligenza artificiale.
È partito da Palermo con una laurea in tasca e poche certezze, accettando un lavoro in un call center Alitalia che si è rivelato presto una delusione, ma quel passo fuori è stato solo l’inizio.
Ha vissuto in città gelide, come Montréal, dove ha affrontato un primo inverno a -42 gradi e giorni in cui la nostalgia si tagliava con il coltello. “I pianti, soprattutto il primo inverno, non me li scordo, ma non cambierei una virgola”.
Eppure, anche nei momenti di maggiore distanza, geografica ed emotiva, la Sicilia non l’ha mai lasciata. Nemmeno quando lavorava nel mondo dei videogiochi, con orari massacranti, dal lunedì al sabato, dalle otto del mattino alle dieci di sera.
Anche allora, la domenica si svegliava alle 7:30, con un solo pensiero in testa: vedere giocare il Palermo. Il fuso orario non era un problema. Era casa, era radice, era identità. “Anche se dicevo che non sarei più tornato, non sono mai riuscito ad andarmene davvero. La Sicilia ti resta dentro”.
Negli anni ha conosciuto modelli di vita molto diversi, servizi efficienti, salari più alti, trasporti impeccabili, ma la distanza ha scavato dentro. La mancanza si è fatta profonda e così anche l’idea di cosa conta davvero è cambiata.
“La qualità della vita fuori è alta, sì, ma non basta. Oggi so che la vera ricchezza è l’affetto umano. I ricordi che costruisci con chi ami. Non il conto in banca”.
E quella consapevolezza, maturata ad ogni trasloco, in ogni inverno passato lontano da Palermo, è oggi ciò che più lo spinge a tornare. Non per nostalgia romantica, ma per ricostruire un legame vero, quotidiano, vivo. Con le persone, con i luoghi, con una lingua che non ha mai smesso di parlare.
“Vuci Luntani”, il libro che somiglia a un ritorno
Nel 2024 pubblica il suo primo libro: “Vuci Luntani”, edito da “I Buoni Cugini”, una casa editrice palermitana indipendente. È una raccolta di racconti scritti in siciliano e italiano, nati durante le serate irlandesi, registrati prima ancora di essere trascritti.

Dario Cascio_The Sicilian Wanderer
“È una delle cose di cui vado più orgoglioso. Non pensavo di scrivere un libro, ma quei racconti mi uscivano di getto, proprio come i video”. Storie intime, episodiche, legate alla memoria collettiva ma anche profondamente personali.
Dentro ci sono il quartiere, l’adolescenza, le estati a Mondello, i pomeriggi passati per strada. È una Sicilia quotidiana, non da cartolina, ma vissuta e imperfetta, come quella che si racconta tra amici.
Il libro è anche audiolibro, letto da lui stesso. Ed è un modo per fare pace con la distanza, per continuare a dare voce a quella terra parlata che è la Sicilia.
Da un minuto sui social a un palco vero: il viaggio continua
Negli ultimi mesi, anche il format dei “Sessanta SeCunti” sta cambiando. Meno spiegazioni, più introspezione e memoria. “Parlo di adolescenza, degli anni ’90, del modo in cui siamo cresciuti. Non come elenco di cose, ma come risveglio di ricordi. E pare funzioni”.
È come se la nostalgia, quella che lo accompagna da sempre, fosse tornata al centro. Perché chi parte, spesso, vive di ricordi. E chi racconta, lo fa per non perderli.
Uno dei traguardi più ambiziosi è arrivato il 21 settembre, quando ha portato per la prima volta le sue storie su un palco vero: il Teatro Cicero di Cefalù. “Pe me è un sogno. Volevo provare a portare il format dal vivo. E adesso ci siamo. Il teatro è bellissimo. Solo pensarlo mi emoziona”.
Un altro passo del tour che a settembre lo ha portato in giro per la Sicilia tra piazze, eventi e librerie, ma soprattutto un’altra trasformazione, perché viaggiare cambia, ma non cancella. E quando gli si chiede un consiglio per i giovani siciliani, non ha dubbi: “Andatevene. Fate esperienze fuori. E poi tornate. Portate indietro quello che avete imparato“.
Parole che non suonano come slogan, ma come verità dette con la voce di chi ha vissuto. Ha conosciuto la distanza, il freddo, la fatica, ma oggi sa che tutto porta in una sola direzione: tornare a casa.
La sua Sicilia è fatta di lingua viva, un cuore che pulsa e un bisogno profondo: non dimenticare.
Se sui social funziona è perché non finge. Parla come mangia, si commuove parlando del nonno, si arrabbia per i cavalli stremati sotto il sole, si diverte a ricordare la Mondello degli anni ‘90.
E in un mondo che corre, lui si ferma. A raccontare. Perché certe storie non si possono e non si devono perdere.
Foto Instagram






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