Secondo quanto hanno accertato i carabinieri che hanno raccolto decine di denunce un intero nucleo familiare ha creato un clima di terrore a Camporeale, centro nel palermitano.

Un’attività su larga scala messa in campo nell’ultimo anno da uomini, donne che utilizzavano anche un bambino per controllare il territorio e compiere furti ed estorsioni.

I carabinieri hanno eseguito un provvedimento di fermo disposto dal procuratore aggiunto Ennio Petrigni e dal pm Enrico Bologna nei confronti di Maurizio Mulé, 26 anni di Partinico, Salvatore Lazzara, 30 anni, di Alcamo, Barbara Lombardo, 33 anni, Vincenza Ferdico, 24 anni, Francesco Mulè, 28 anni, di Partinico, Calogero Mulè, 30 anni, di Partinico e  Vincenzo Mulè, 25 anni, di Alcamo accusati di associazione a delinquere accusati di numeri furti ai cittadini di Camporeale e intimidazioni ed estorsioni.

L’indagine, condotta dai militari della compagnia di Partinico, è iniziata dopo alcuni incendi dolosi a auto e autocarri nel territorio di Camporeale (Pa).

Sin dalle prime battute sarebbe emersa la presenza in comune di un’organizzazione che avrebbe creato nel centro in provincia di Palermo un clima di paura.

Tanto che in alcune intercettazioni gli investigatori hanno trascritto le richieste di aiuto di alcuni imprenditori oggetto di attentati e minacce: “a Camporeale non se ne può più”. Alcuni residenti che subivano furti ed estorsioni sono stati minacciati e costretti a non denunciare i furti.

Anche le due donne, secondo quanto accertato dalle indagini hanno avuto un ruolo attivo nell’organizzazione. La banda aveva occupato abusivamente alcuni alloggi del complesso residenziale di piazza Delle Mimose. Qui aveva fatto base. A capo dell’organizzazione Maurizio Mulè che, già destinatario della misure di pubblica sicurezza della sorveglianza che non gli consentiva di uscire nelle ore notturne, sceglieva gli obiettivi e dava supporto logistico.

In un caso Mulè che si doveva recare in caserma dai carabinieri per le prescrizioni sulla sorveglianza speciale ha visto un imprenditore a cui avevano rubato un attrezzo da lavoro parlare con il maresciallo.

“Quell’infame ai cui gli abbiamo rubato il compressore è in caserma e parla con il maresciallo”, diceva intercettato Mulè. Quattro giorni dopo il 31 dicembre per intimorirlo allo stesso imprenditore andò in fiamme un autocarro. La banda metteva a segno continui furti.

Pellet, canne fumarie, attrezzi da lavoro costosi e anche tante olive che poi portavano nei frantoi per la molitura. Molti dei colpi seguiti passo passo al telefono da Maurizio Mulè che dava indicazioni soprattutto a Salvatore Lazzara sulla possibile presenza o meno delle auto dei carabinieri di pattuglia nella zona. “Stai attento – diceva Mulè – stanno passando i porci o i tarzan”.