• Ambasciatrice delle persone con disabilità, il progetto di Chiara Lo Coco
  • Chiara è una 18enne palermitana che tra poco sarà una professional certified coach
  • Cosa sono il coaching e l’advocacy

Scoprire le proprie risorse per superare ostacoli e difficoltà, facendo tesoro dell’unicità di ognuno di noi. Acquisire maggiore consapevolezza, fiducia ed autonomia con un approccio orientato non ai problemi ma alle soluzioni e ai risultati. Tutto questo può avvenire tramite l’aiuto di una persona qualificata che fa da sostegno, un coach.
Oggi vi raccontiamo la storia di Chiara Lo Coco, una 18enne palermitana che aiuta gli altri a ‘liberare’ le potenzialità di ciascuno, contribuendo alla loro crescita personale e supportandoli in un percorso di autorealizzazione.
Chiara è affetta dalla sindrome di Ehlers-Danlos, una malattia rara, e da altri disturbi ai quali gli specialisti stanno cercando di dare un nome. Frequenta con profitto l’ultimo anno del liceo linguistico, e con grande tenacia e il sorriso che la contraddistingue, affronta una quotidianità difficile ma che ha scoperto essere ricca di risorse, per sé e per gli altri. Tra poco Chiara, che frequenta l’Epicoaching Academy, che fa parte dell’International Coach Federation, sarà una professional certified coach a tutti gli effetti soprattutto nell’ambito delle malattie rare.
Incontra i propri ‘clienti’ in occasione di sessioni online.

Chiara, quale è l’obiettivo che ti poni come coach?

“Io voglio collaborare con le persone multipotenziali, le cui caratteristiche sono adattabilità, rapido apprendimento e sintesi di idee, che hanno anche disabilità ma non per forza, per fare emergere il loro potenziale attraverso la pratica del coaching che secondo me è anche un’arte. Quindi attraverso delle domande potenti, un po’ come la maieutica di Socrate, si cerca di fare uscire e far emergere quello che già è in loro possesso; sono strumenti per far raggiungere loro degli obiettivi sostenibili in linea con il proprio essere, raggiungibili ma che possano, allo stesso tempo, far coesistere il benessere stabile e duraturo”.

Cos’è esattamente il coaching e come sei entrata in questo mondo?

“Il coaching è collaborazione tra coach e cliente, quindi tra coach e persona. E’ una collaborazione che permette appunto al cliente di avere il riflesso attraverso il coach, di quelle che sono le sue caratteristiche, le sue potenzialità, i suoi strumenti, e quindi, di conseguenza, anche riuscire a creare un piano di azione non soltanto per l’obiettivo da raggiungere a fine sessione ma anche per quello che si intende come obiettivi futuri. Quindi in qualche modo il coach dà quelli che sono i suoi strumenti al cliente per riuscire ad apprendere da una parte il suo modo per fare, raggiungere degli obiettivi sostenibili. Si instaura un rapporto che sta soprattutto nell’esplorare l’essere, far raggiungere alla persona che si ha di fronte  l’autoconsapevolezza e capire dove quella persona vuole andare, conoscere i suoi valori e partire da quelli”.

Tu aiuti gli altri a guardare oltre gli ostacoli ma devi anche quotidianamente superare le tue difficoltà…

“Il coach mi ha aiutato molto a mantenere la mia prospettiva altruista, cioè quella di voler aiutare gli altri, ma mi sta aiutando principalmente a mettermi in primo piano, quindi pensare prima al mio star bene e benessere e poi se io riesco a stare bene riesco anche ad aiutare gli altri e questo fa parte un po’ del mio scopo di vita che il coaching mi ha insegnato con una pratica in particolare. Il mio scopo è amare ed evolvermi, fare qualcosa di utile per me e per gli altri, perché per me un’azione non ha senso se fine a me stessa e se riguarda soltanto me. Tutto quello che io faccio e come agisco riguarda me ma in risonanza riguarda anche la mia comunità globale”.

E’ una scelta di vita oltre che un lavoro

“Esattamente, è una scelta di vita ma è anche uno stile di vita. Perché con il coaching si impara anche a fare determinate affermazioni che modificano il modo di manifestarsi della realtà. Perché quello che noi pensiamo e come noi pensiamo cambia effettivamente quello che attraiamo. E quindi il coaching non è quella positività tossica che si pensa ‘andrà tutto bene’ e basta. Perché io avrò i miei momenti no, momenti sì, e la mia vita non è facile, questo lo so.
Però sicuramente con un approccio come quello del coaching, la mia vita può iniziare a prendere senso, perché posso iniziare a vivere secondo il mio scopo di vita che non è fare il medico. Il medico era una delle mie ‘visioni’. Il mio scopo di vita è aiutare gli altri, aiutare me, quindi fare qualcosa di utile evolvendomi e amando costantemente me e gli altri”.

Quale è la cosa più importante che hai imparato da questa esperienza?

“La cosa più importante ma anche più emozionante è avvenuta quando mi sono resa conto di avere soltanto 18 anni. Lì per me è cambiato tutto. Quando ho pensato di non poter studiare Medicina e l’ho realizzato, ho avuto tanta paura. Ho pensato ‘cos’altro mi rimane da fare?’. Perché ho molte limitazioni e ancora non se ne conosce la causa. Quindi non so con che cosa ho a che fare. Ma quando mi sono resa conto di avere 18 anni ho iniziato a ricordarmelo ogni giorno. Per dirmi ‘hai già ma hai ancora 18 anni’. Quindi ho la possibilità di fare quello che prima non potevo fare ma allo stesso tempo ho solo 18 anni, pertanto ho ancora tanti ma tanti anni di vita spero, in linea con il mio scopo di vita”.

Quali sono le sfide più impegnative che hai dovuto affrontare e quali quelle che ti attendono?

“La più grande sfida in assoluto è il percorso diagnostico che non è una cosa conclusa anche se ho ricevuto la diagnosi di Ehlers-Danlos qualche giorno fa. Ho ancora tantissime cose da dover escludere dal punto di vista del percorso diagnostico. E’ questa la cosa più difficile.
Io seguo quello che mi dicono i medici ma la maggior parte delle volte, purtroppo, nemmeno loro lo sanno.
Quindi la sfida sta per me nello studiare e cercare di capire da quali specialisti andare e di conseguenza riuscire anche e fare da mediatore tra me, quindi tra il paziente, e il medico. E con la figura di advocacy punto a fare proprio questo. Rafforzare la collaborazione tra medico e paziente. Perché è il paziente ad essere esperto del suo corpo, e il medico ad essere esperto in medicina, e sono due cose diverse. Quindi il medico può tradurre in maniera più semplice e sotto forma di concetti compiuti quello che il paziente ha da dire. Ma se non è il paziente a parlare, a percepirsi, a sentirsi, il medico non ha dove andare. E non parlo solo per le malattie rare. Penso che se la figura di advocacy entrasse a far parte di ogni collaborazione medico-paziente, questo rapporto sarebbe molto più fruibile, più accessibile e si eviterebbero anche dei traumi medici”.

Il percorso che stai seguendo include in qualche modo anche l’arte, come?

“L’arte è una mia amica da sempre, ma essendo io multipotenziale, non ho solo un tipo di arte attraverso cui esprimermi. Dipende dalla disponibilità che mi dà il mio corpo. Ci sono periodi in cui disegno, altri in cui riesco anche a danzare come ho fatto per la Giornata internazionale della Disabilità, a volte canto.
Insomma, l’arte è qualcosa attraverso cui io mi esprimo e la pratico in base a cosa mi consente il mio corpo, io mi esprimo attraverso quel canale. Ecco, non c’è una forma di arte che prediligo in particolare, anche se la danza è sempre stata qualcosa di più rispetto al resto, solo che è la cosa che posso paradossalmente fare di meno”.

Il coaching e l’advocacy, quali le differenze?

“Nella mia idea di coaching c’è il desiderio di conciliare il coaching e l’advocacy, perché il coaching rappresenta proprio l’autoconsapevolezza, è lo step necessario affinché le persone si possano educare a proposito delle proprie condizioni rare e l’advocacy rappresenta quello che da paziente mi impegno a sostenere e ad essere. Io spero vivamente di poter rivolgere questi miei servizi alle persone con disabilità multipotenziali ma non per forza che abbiano una disabilità fisica ma che rientrino anche nella neurodiversità come me. Quindi i miei clienti ideali in qualche modo sono simili a me, pertanto multipotenziali, neurodiversi, con disabilità ma la caratteristica principale è appunto la multipotenzialità.
Mi piacerebbe rivolgermi a persone che hanno la voglia di esplorare le proprie intersezioni, e di esplorarle fino in fondo perché sanno che non c’è una sola cosa che possono fare nella vita, ma un universo di opportunità. Se si nutrono a sufficienza e si amano a sufficienza possono fare emergere varie intersezioni e varie possibilità di riuscita”.

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