Viene messa in discussione la presunta cricca corruttiva al comune di Palermo dopo che sono stati messi in discussione alcuni dei capisaldi dell’accusa, che si era basata sulle indagini di carabinieri e Guardia di Finanza. Lo riporta il Giornale di Sicilia.  L’inchiesta è Giano Bifronte. 

Li Castri, secondo la procura, avrebbe orientato l’approvazione dei progetti costruttivi presentati dal suo ex socio, Fabio Seminerio, in modo da agevolare i piani della cricca, interessata alla trasformazione di ex aree industriali da destinare a edilizia residenziale agevolata. Questa ricostruzione, secondo il Tribunale, sarebbe stata “logica e assai verosimile”, dato che Li Castri avrebbe avuto l’obbligo di “astensione dalla trattazione dei procedimenti ai quali era interessato Seminerio”. E’ la Cassazione a porre dei dubbi sul diritto. “L’omessa astensione di Li Castri, infatti, sarebbe, frutto di considerazioni generiche visto che non ci sarebbe un “aggancio con specifici elementi indiziari”.

“L’esistenza del contestato patto corruttivo risulta apoditticamente desunta dal Tribunale”, da una tesi ritenuta certa dai pm , ovvero  il “giudizio di illegittimità dell’intero iter amministrativo”. Qui ruota l’indagine e l’accusa a Li Castri. La sua difesa aveva rilevato la “carenza di elementi investigativi circa la ipotizzata prosecuzione dei rapporti personali e professionali di Li Castri con l’architetto Seminerio (…). Rapporti che sarebbero stati ripresi solo dopo la cessazione dell’incarico comunale”.

I racconti del pentito Filippo Bisconti parlavano di una “cricca” tra Li Castri, Seminerio e all’altro architetto del Comune Giuseppe Monteleone ma il pentito stesso era già in arresto quando si svolsero i fatti. Secondo la Cassazione, inoltre, ci sarebbe “la carenza di qualsiasi elemento indiziario idoneo a giustificare la prospettata ipotesi di un accordo corruttivo fra Li Castri, Seminerio”. Intanto per la scarcerazione di Li Castri bisognerà aspettare una nuova pronuncia del riesame.