Protestano gli edili in mezza Sicilia. La giornata di mobilitazione, in programma il 15 novembre, è stata indetta da Fillea Cgil, Filca Cisl, Feneal Uil nell’ambito della giornata della protesta nazionale “Noi non ci
fermiano! Rilanciare il settore delle costruzioni per rilanciare il paese”.
“In Sicilia- scrivono in una nota i segretari siciliani delle tre categorie Mario Ridulfo, Paolo D’Anca, Francesco De Martino – la crisi del settore delle costruzioni ha raggiunto cifre impressionanti, dal 2008 ad oggi si è registrato un calo del 60% degli addetti censiti presso le casse edili e di oltre il 50% degli addetti dell’indotto che ruota intorno al settore delle costruzioni. La polverizzazione dei pochi cantieri rimasti in attività – aggiungono – ha inoltre determinato un calo della qualità del lavoro, con l’ aumento degli infortuni sul lavoro, a cominciare da quelli mortali. In Sicilia il lavoro nero nel settore è stimato intorno al 40%, cioè un lavoratore su due”.
Per i sindacati a fronte di questa drammatica situazione “occorre una politica industriale in grado di rilanciare la filiera delle costruzioni. Occorre riaprire i cantieri con politiche e strumenti finanziari mirati e un Fondo nazionale di garanzia, sbloccare le grandi e piccole opere, incentivare le ristrutturazioni, il risparmio energetico”.
Una vera politica industriale, riforma previdenziale, il contrasto al lavoro nero e alla elusione, l’applicazione e l’estensione delle linee guida per contrastare ogni forma di dumping contrattuale e di applicazione scorretta del Contratto collettivo degli edili sono tra le richieste che i sindacati inoltrato allo Stato ma anche la riforma fiscale e la riforma del codice degli appalti.
Fillea, Filca e Feneal chiamano in causa anche le istituzioni locali. Ridulfo, D’Anca e De Martino sottolineano anche che “serve una interlocuzione e un confronto continuo e diretto, tra tutti i soggetti coinvolti: tra le diverse stazioni appaltanti, le imprese, i lavoratori e le comunità coinvolte. “In queste ultimi anni – rilevano – si sarebbero dovute progettare e appaltare opere pubbliche per miliardi di euro in grado di produrre un’occupazione aggiuntiva tra diretto e indotto che avrebbe potuto in parte riassorbire le perdite del settore. Questo non è avvenuto con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti. Oggi un cambio di direzione è non più rinviabile”.
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