- “Il figlio di Tarzan”, questo il titolo del documentario di Mariagrazia Moncada
- Protagonista Giovanni Cupidi, statistico tetraplegico di Misilmeri
- Produttori del documentario, per Tramp Limited, Salvo Ficarra e Valentino Picone
- A BlogSicilia spiegano perché hanno sposato il progetto
- La presentazione del documentario domani a Palermo
Raccontare senza filtri cosa significa vivere in una condizione di fragilità. Mostrare una quotidianità difficile ma non per questo priva di sogni, ambizioni, speranze e desideri perseguiti con grande determinazione e altrettanta tenacia lasciando spazio alla riflessione, perché di certe cose, a volte, ci si dimentica.
Si intitola “Il figlio di Tarzan” il documentario di Mariagrazia Moncada che sarà presentato e proiettato domani alle 20,30 al cinema De Seta ai Cantieri Culturali alla Zisa di Palermo (ingresso solo su inviti).
L’evento ha il gratuito patrocinio del Comune di Palermo.
Saranno presenti Salvo Ficarra Valentino Picone, produttori per Tramp Limited del documentario di 45 minuti del quale è protagonista principale Giovanni Cupidi, statistico tetraplegico di Misilmeri, 44 anni, da 31 immobilizzato dal collo in giù a causa di una ischemia dell’arteria midollare cervicale che lo ha colpito quando era ancora ragazzino. Cupidi, dopo aver pubblicato un libro nel 2018, “Noi siamo Immortali. Due vite racchiuse in una sola esistenza”, ha deciso di descrivere per immagini la propria storia, una storia rappresentativa di tante altre, fatta di battaglie continue per ottenere diritti, attenzione ed inclusione.
Tante storie
Il documentario è stato scritto da Cupidi, Simona Cocozza e Moncada. La regista e documentarista catanese di origine e romana d’adozione spiega a BlogSicilia la genesi del progetto: “Ho conosciuto Giovanni qualche anno fa, subito dopo quella che è stata ribattezzata dalla stampa come “la rivolta delle carrozzine” (Cupidi è stato tra i fautori della dura presa di posizione delle persone con disabilità siciliane contro il governo regionale nel 2017, ndr).
L’ho contattato perché una persona a me molto cara convive con una grave disabilità e mi serviva qualche consiglio relativo ad una pratica burocratica per l’assistenza. Tra noi è scattato una sorta di feeling, ci siamo subito compresi e capiti a vicenda. Io avevo già realizzato un documentario dal titolo “Gli invisibili” sull’autismo e il ‘dopo di noi’, pertanto ho pensato di raccontare la sua storia che è poi la storia di tutte le persone con disabilità e delle loro famiglie. Una storia che vuole essere da esempio per chi ha delle difficoltà, e che vuole far capire inoltre quello che ogni giorno devono affrontare proprio le famiglie. E’ un documentario che spinge anche a porsi degli interrogativi, si parla del ‘durante noi’ e del ‘dopo di noi’ ma non solo”.
Le riprese sono state realizzate tra Misilmeri e Palermo nel luglio dello scorso anno; il documentario è pronto già da tempo ma la pandemia ne aveva ritardato sinora la presentazione.
Il macigno e il grado di civiltà
Salvo Ficarra e Valentino Picone hanno subito sposato il progetto. Commenta Picone: “Il tema della disabilità, sia a me che a Salvo, sta particolarmente e cuore. Ci unisce a Giovanni una amicizia consolidata da tempo, io lo conosco da sempre perché siamo entrambi di Misilmeri. Ci ha entusiasmato la possibilità di poter raccontare una giornata tipo di una persona con disabilità con tutto il retroscena, al quale non si pensa mai.
Non possiamo affatto immaginare, ad esempio, cosa significhi per una persona con disabilità arrivare in un parcheggio auto riservato e trovarlo occupato da qualcuno che non ha diritto a stare lì.
E’ un macigno all’interno di una giornata di una persona che ha tante esigenze e difficoltà. Ecco, la parola giusta è proprio macigno, dipende tutto dal nostro senso di civiltà”.
Da cosa dipendono invece la superficialità e il menefreghismo spesso diffusi su questi temi? “E una corresponsabilità di istituzioni e cittadini – risponde senza esitazione Picone -. Le istituzioni poi in Italia fanno poco in genere, non siamo ancora un Paese evoluto. Basti pensare che molte leggi che tutelano queste persone esistono ma vengono disattese. Eppure il grado di civiltà di un Paese si misura anche da queste cose”.
Le sfumature di esistenza
Ma cosa piacerebbe a chi ha lavorato a “Il figlio di Tarzan” che pensassero le persone che vedranno il documentario? “Ci piacerebbe – osserva Ficarra – che pensassero veramente a quante sfumature di esistenza diverse ci sono nella vita e che tenere conto delle esigenze degli altri, magari diverse dalle nostre, è il modo principale per ritenerci uomini e civili. Si va dalle cose più banali, come i posti auto ai quali accennato, sino all’assistenza domiciliare che molte persone con disabilità non hanno”.
Cambieremo mai in meglio? “Bisogna aprire i propri orizzonti, per esempio viaggiando, o semplicemente facendo lo sforzo di immedesimarsi nelle vite degli altri. Nel tempo l’uomo – conclude Ficarra – si è sempre migliorato ma mentre passano gli anni c’è gente che continua a soffrire, ad aspettare soluzioni. Ci auguriamo che un vero cambiamento culturale possa concretizzarsi presto e servono buoni esempi. La storia di Giovanni fa riflettere, è un uomo di una forza morale eccezionale e di una sensibilità straordinaria”.
L’obiettivo de “Il figlio di Tarzan”
Un progetto, dunque, che ha anche un obiettivo preciso, spiegato proprio da Cupidi.
“Nel libro che ho scritto – dice – ho raccontato la mia vita ma le persone devono fare uno sforzo di immaginazione e immedesimazione. Nel documentario si vede senza intermediazioni quella che è la mia vita ma non soltanto.
Si capisce bene cosa significa vivere senza una assistenza adeguata come nella mia situazione”.
A Cupidi, infatti, viene garantita al momento, e solo dall’Asp ma non dal suo Comune, un’assistenza domiciliare di tre ore al giorno, e non h24 come spetterebbe ad una persona con disabilità gravissima.
Per il resto Cupidi, che ha bisogno di aiuto anche per compiere i più semplici gesti della vita quotidiana, deve fronteggiare con mezzi ed energie proprie.
“Una assistenza adeguata – prosegue – significa dare i mezzi a una persona che ha una disabilità grave di poter vivere la propria vita al meglio, perché no, al massimo di quelle che sono le proprie possibilità dandogli la fondamentale opportunità di perseguire e portare avanti i propri interessi, i propri scopi.
In un paese civile non sarebbe possibile, ma invece da noi accade di tutto: basti pensare che i piani personalizzati per le persone con disabilità non vengono attuati. Non è giusto che queste persone siano state abbandonate a se stesse, e che invece di esercitare il loro diritto all’assistenza, debbano sperare nell’aiuto di un amico, di un volontario, delle persone care che diventano caregiver, quando invece tutta la società civile e le istituzioni hanno il dovere di garantire quei diritti.
Questo documentario ha uno scopo anche ‘politico’ nel senso più alto del termine: l’impegno civico mio e di tante persone nella mia situazione dovrebbe essere di tutti”.
E ancora: “Per impegno non intendo solo partecipare alle proteste di piazza delle persone con disabilità o entrare a far parte di una associazione. Deve essere un impegno costante e quotidiano, ognuno di noi può adoperarsi per cambiare questo stato di cose. Lo può fare da un lato tendendo la mano a chi si trova in difficoltà, e dall’altro pretendendo che le istituzioni garantiscano i diritti”.
Una esperienza bellissima
Cupidi non nasconde la propria gioia relativa a “Il figlio di Tarzan”. “Per me – conclude – è stato bellissimo essere protagonista oltre che autore di questo progetto. Mi ha consentito di esprimere un’altra parte di me che forse nemmeno pensavo di avere e di tirare fuori altre potenzialità. Tante persone, a causa delle limitazioni che la società impone, non hanno la possibilità di scoprire che tutti abbiamo talenti nascosti, e risorse che è un vero peccato che non siano messe a disposizione della società stessa.
Far nascere un progetto con Valentino e Salvo è stato straordinario. Ringrazio molto Mariagrazia per l’opportunità datami anche se per me è stato molto faticoso. Ad esempio, la gente non sa che finite le riprese, sono stato costretto un mese a letto per riprendere le mie energie, ecco, la gente non pensa a queste cose.
Troppo spesso si guarda al lato ‘eroico’ delle persone con disabilità, senza comprendere sino a che punto gli sforzi profusi devono poi essere necessariamente recuperati in qualche modo. Io so bene, invece, e lo sanno molte persone come me, che oltre all’aspetto più bello di una storia o di un progetto, c’è anche un risvolto poco gradevole da dovere affrontare dovuto a condizioni di salute sfavorevoli o ancora alle limitazioni circostanti.
Sono tuttavia ottimista, il documentario è nato anche per questo, per far conoscere e far comprendere”.
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