Ancora battaglia tra accusa e difesa sulle su Valentina Pilato, la mamma che gettò la figlia appena nata nel cassonetto il 24 novembre 2014. Per la procura di Palermo era capace di intendere tanto fa premeditare l’omicidio ed organizzarlo a Palermo lontano da casa.
Per questo motivo il pm ha chiesto la condanna a 21 anni e 2 mesi. Un processo che si giocherà molto sulle perizie sulle condizioni psichiche della donna, difesa dall’avvocato Enrico Tignini.
Per Francesco Bruno e Maria Pia De Giovanni che hanno eseguito una nuova perizia disposta dalla Corte d’assise di Palermo quando gettò sua figlia appena nata nel cassonetto della spazzatura, Valentina Pilato non era in grado di intendere e volere. Si liberò del feto come si fa di “un oggetto pericoloso che la mente della madre si rifiuta di considerare un figlio”.
Per il criminologo e la psichiatra, la donna ha un disturbo grave dell’umore che si “accompagna a vissuti dissociativi e paranoidei di tipo cognitivo anancastico”. Questa condizione era presente al momento dell’infanticidio e al momento del parto avvenuto “dopo una rilevante negazione della gravidanza e di qualsiasi reazione affettiva ad esso legata”.
Secondo i consulenti del gip, la donna sarebbe stata capace di intendere e volere perché aveva un disturbo di adattamento che non ne avrebbe inficiato la lucidità.
Il giorno prima del parto, l’imputata era tornata a Palermo con un volo anche perché – così ha raccontato – non sapeva di essere giunta già al nono mese, credeva di essere al settimo. Avrebbe nascosto la gravidanza al marito perché sapeva che non sarebbe stata ben accetta e contava di riferirglielo dopo.
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