Il Tar di Palermo ha annullato l’interdittiva antimafia emessa nei confronti di una società impegnata nella progettazione ed esecuzione di grandi opere e appalti pubblici. Il provvedimento venne emesso dal Ministero dell’Interno nel 2018, ritenendo esistente il rischio di un condizionamento dell’impresa da parte della criminalità organizzata derivante principalmente dal rapporto consortile intercorso nel periodo 2007-2013, per l’esecuzione di lavori nella città di Palermo, tra la stessa società ed altra società, i cui titolari, nel 2018, erano stati raggiunti da misure di prevenzione. Era stata considerata ipotizzata dunque una “cointeressenza economica” tra la società e i soggetti arrestati.
Secondo il Ministero l’impresa aveva partecipato in un’altra società consortile nella quale erano presenti altre due società poi colpite da provvedimenti cautelari di natura patrimoniale.
L’impresa, rappresentata dai legali Girolamo Rubino, Lucia Alfieri e Rosario De Marco Capizzi, ha proposto l’annullamento dell’interdittiva antimafia ai giudici del Tar previa sospensione, del provvedimento e degli atti dell’Anac e del Comune di Palermo, a mezzo dei quali erano stati disposti, rispettivamente, l’annotazione nel casellario informatico dell’avvenuta adozione dell’informativa interdittiva nei confronti dell’impresa ricorrente e la sospensione dei lavori affidati alla medesima società a seguito della comunicazione del suddetta informativa.
In particolare, gli avvocati Rubino, Alfieri e De Marco Capizzi hanno sostenuto l’irrilevanza, ai fini dell’adozione di un’informativa antimafia, di fatti risalenti nel tempo se non coordinati e posti in continuità con ulteriori e recenti fatti di analogo tenore che diano atto di un concreto ed attuale condizionamento mafioso. Gli avvocati hanno quindi sostenuto l’illegittimità dell’interdittiva sotto il profilo dell’eccesso di potere per “difetto d’istruttoria e di adeguata motivazione” poichè le vicende giudiziarie che avevano colpito l’altra società non potevano assumere autonoma pregnanza in mancanza di alcun riferimento specifico alla posizione o a vicende relative alla società che è stata, invece, ritenuta, vicina alla criminalità organizzata per il rapporto consortile intercorso per la realizzazione di un’opera pubblica prima che il provvedimento restrittivo fosse stato adottato.
I difensori della società hanno anche rilevato come come, al tempo dell’aggiudicazione della gara, la stazione appaltante – alla quale spettava il controllo preventivo circa il possesso dei requisiti di moralità ed affidabilità di tutti i soggetti componenti la società consortile – non aveva rilevato nulla in ordine a precedenti penali o cause ostative alla partecipazione alla gara in capo alla società poi incisa da misure preventive.
Infine, anche con riferimento ai rapporti economici e partecipativi dell’impresa ricorrente in altra società consortile partecipata da due società poi raggiunte da provvedimenti cautelari di natura patrimoniale, la difesa di parte ricorrente ne ribadiva la strumentalità ai fini della partecipazione ad un’unica gara, risalente al lontano 2005, della quale l’A.T.I. costituita era risultata aggiudicataria quando ancora nessun provvedimento cautelare era stato adottato nei confronti dei soci delle società controindicate.
Il Tars Sicilia, dopo aver accolto la richiesta di sospensione dell’interdittiva, confermata in appello dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, ha accolto il ricorso e, per l’effetto, ha annullato i gravati provvedimenti.
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