“Ho incontrato tre volte a Milano Silvio Berlusconi mentre ero latitante”. Lo ha detto il boss di Cosa nostra Giuseppe Graviano, già condannato all’ergastolo, deponendo in videoconferenza nel processo “‘ndrangheta stragista”, in cui è imputato, in corso di svolgimento a Reggio Calabria. Graviano sta rispondendo alle domande del procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo.

Graviano e Filippone sono accusati di essere i mandanti dell’agguato in cui furono uccisi gli appuntati dei carabinieri Giuseppe Fava e Antonino Garofalo, assassinati nel gennaio del 1994 nell’ambito, secondo l’accusa, del progetto stragista portato avanti da Totò Riina. Il boss ha detto che il nonno materno Filippo Quartararo, un facoltoso commerciante di frutta e verdura, “era in contatto con Berlusconi” e fu incaricato da Cosa nostra di agganciare l’ex presidente della Fininvest per investire al nord.

Cosa che avvenne, per le pressioni del padre di Michele Greco, Giuseppe, “che consigliò di investire nel settore immobiliare una cifra di circa venti miliardi di lire”. Giuseppe Graviano ha detto che “l’incontro con Silvio Berlusconi avvenne nel 1983 all’hotel Quark”, presenti il nonno e il cugino Salvatore. I soldi dei Graviano, secondo quanto affermato dal boss, finirono anche per essere utilizzati nella realizzazione di “Milano 3” e “la nostra idea – ha detto Graviano – era di legalizzare la situazione per far emergere i finanziatori nella società immobiliare di Berlusconi in cui c’era mio nonno, perché i loro nomi apparivano solo su una scrittura privata che ha in mano mio cugino Salvo”. Graviano ha anche parlato del regalo di un appartamento da parte di Berlusconi al cugino per motivi privati.

“Le dichiarazioni rese quest’oggi da Giuseppe Graviano sono totalmente e platealmente destituite di ogni fondamento, sconnesse dalla realtà nonché palesemente diffamatorie”. Lo afferma in una nota il legale di Silvio Berlusconi, l’avv. Niccolò Ghedini. “Si osservi – prosegue – che Graviano nega ogni sua responsabilità pur a fronte di molteplici sentenze passate in giudicato che lo hanno condannato a plurimi ergastoli per gravissimi delitti”. “Dopo 26 anni ininterrotti di carcerazione – prosegue Ghedini – improvvisamente il signor Graviano rende dichiarazioni chiaramente finalizzate ad ottenere benefici processuali o carcerari inventando incontri, cifre ed episodi inverosimili ed inveritieri. Si comprende, fra l’altro, perfettamente l’astio profondo nei confronti del Presidente Berlusconi per tutte le leggi promulgate dai suoi governi proprio contro la mafia. Ovviamente saranno esperite tutte le azioni del caso avanti l’autorità giudiziaria”.

Graviano ha negato di avere mai parlato “con Gioacchino Pennino di ambienti massonici palermitani vicini a Cosa nostra perché con certa gente non volevo a che fare”. E sui rapporti con la ‘ndrangheta, il boss ha dichiarato la sua “totale estraneità”, come nel caso dell’episodio riferito dal suo ex autista Antonio Tranchina, “di essersi portato negli anni ’90 ben tre volte a Bova (Reggio Calabria) insieme alla sorella di Graviano per contattare il boss della ‘ndrangheta Domenico Vadalà, ‘lupu i notti’, e chiedergli di intervenire presso ambienti della Corte di Cassazione per tentare di ‘aggiustare’ gli esiti di un processo in cui era coinvolto il fratello Filippo”. Graviano ha anche escluso di avere ricevuto mandato da Leoluca Bagarella, attraverso i pentiti Tony Calvaruso e Nino Mangano – quest’ultimo reggente del mandamento di Brancaccio dopo la cattura del boss – di contattare i calabresi nell’attuazione del progetto stragista degli anni ’90 voluto da Totò Riina.

(Ansa)

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