Un’installazione con “camera tracking” farà da lente di ingrandimento per raccontare i dettagli di un’opera unica che raffigura 700 fedeli, 24 palazzi e 28 “macchine” processionali. Una descrizione minuziosa, quasi surreale.
La Processione di Santa Rosalia, dipinto di pittore siciliano ignoto, della collezione internazionale della Fundación Casa de Alba ospitato al Palacio de las Duenas a Siviglia giunge a Palermo per completare il percorso espositivo della mostra ROSALIA eris in peste patrona.
Per l’opera di fine Seicento di un pittore siciliano confluito nella collezione della Duchessa d’Alba poco prima del suo definitivo allontanamento da Palermo per la Spagna, un viaggio interstorico e interculturale dalla Spagna alla Sicilia.
Uno sforzo che sottolinea, ancora una volta, il nuovo corso promosso dalla Fondazione Federico II volto alla cooperazione e al dialogo interistituzionale a livello nazionale e internazionale.
Da domani 14 dicembre (Sale Duca di Montalto – Palazzo Reale ore 18,30), l’opera, per la prima volta in Italia, occuperà il suo posto all’interno del percorso espositivo. Giunge a Palermo, dopo un attento e lungo restauro, stimolato dalla volontà della Fondazione Federico II di averlo in mostra. La Processione di Santa Rosalia appartiene alla collezione internazionale della Fundación Casa de Alba di Madrid ma si trova nel Palacio de las Duenas a Siviglia.
Si tratta di un’opera eccezionale e unica. Il dipinto costituisce, infatti, la sola rappresentazione nota della processione delle reliquie di Santa Rosalia, così come descritta nel resoconto del festino di ringraziamento del 1693. Il quadro illustra la città di Palermo, attraverso i prospetti di alcuni dei suoi edifici più rappresentativi, civili, religiosi e privati. La dettagliata rappresentazione urbana della città fa da sfondo alla processione di un’argentea arca.
Gli edifici rappresentati nel quadro sono disposti senza alcuna corrispondenza con la realtà ma in modo casuale. Abbiamo scelto di offrire una lettura dettagliata riuscendo, così, ad identificarli uno ad uno e specificando cosa ne sia rimasto oggi di quell’edificio. Chi vedrà il quadro avrà la così possibilità di vedere: l’Ospedale di S. Bartolomeo, in corso Vittorio Emanuele nei pressi di porta Felice, l’edificio bombardato è stato sostituito con l’edificio scolastico dell’Istituto Nautico; il Palazzo della Città, attuale Palazzo Pretorio, successivamente modificato; la chiesa di Santa Teresa, attuale chiesa esistente nella piazza Kalsa; il Tribunale Sacro di Sicilia, esistente con trasformazioni, presso i cortili del complesso dello Steri, sede del Rettorato; la Vicaria, l’antico carcere sul Cassaro di fronte piazza Marina, sostituito con il neoclassico Palazzo delle Finanze; la chiesa della Pietà, esistente chiesa in via Torremuzza alla Kalsa; il palazzo del principe di Villafranca, esistente Palazzo Alliata di Villafranca in piazza Bologni sul lato lungo; la Badia del SS. Salvatore; esistente in corso Vittorio Emanuele di fronte la Biblioteca regionale; il Palazzo del Principe della Roccella esistente in corso Vittorio Emanuele di fronte il Liceo classico Vittorio Emanuele; la chiesa di S. Matteo, esistente in corso Vittorio Emanuele tra la via Roma e la via Maqueda; il Palazzo del Duca della Fabbrica, esistente (con trasformazioni) in corso Vittorio Emanuele di fronte la cattedrale tra le Paoline e palazzo Asmundo; il Collegio Novo ex S. Maria della Grotta annessa all’ex Collegio Massimo dei Gesuiti, esistente, che si trova in corso Vittorio Emanuele dove oggi è l’ingresso della biblioteca regionale; il Palazzo del conte di San Marco ancora esistente, oggi Palazzo Mirto; la Badia delli Virgini, ancora esistente, oggi chiesa di Monteoliveto in via dell’Incoronazione alle spalle della Cattedrale; il Palazzo del duca di Branciforti attuale palazzo Branciforte, sede della Fondazione Sicilia; il Palazzo del principe della Cattolica ancora esistente in via Paternostro, nei pressi della chiesa di S.Francesco d’Assisi; la chiesa dell’Olivella esistente nella piazza omonima; il Palazzo Tarallo, esistente nel quartiere dell’Albergheria, in via delle Pergole; il Palazzo Geraci in corso Vittorio Emanuele, attuale Palazzo Riso, fortemente trasformato a fine Settecento; la Cattedrale senza le trasformazioni progettate da Ferdinando Fuga (cupola, campanile del 1726); il Palazzo arcivescovile attuale Palazzo arcivescovile.
Ma chi vedrà il quadro scoprirà anche che, in parte, alcuni edifici non esistono più e questo ha cambiato, seppur parzialmente, la fisionomia della città. Ci riferiamo al Palazzo di Carini non più esistente in quanto bombardato, si trovava in corso Vittorio Emanuele di fronte la Cattedrale, dove attualmente è la libreria delle Paoline; alla Chiesa delle Stimmate, non più esistente, distrutto insieme alla Badia di S.Giuliano per creare il piano del Teatro Massimo.
Il quadro propone un dialogo surreale tra la città artificiale e il lungo corteo silenzioso che arriva alla Cattedrale. La città è rappresentata come una sorta di corteo di pietra, con le quinte di edifici in alta uniforme e le emergenze delle facciate chiesastiche scelte per la loro modernità.
Rilevante è l’aspetto devozionale dell’opera. L’opera, nonostante ricada nel periodo in cui il terremoto colpì la Sicilia, rappresenta gli edifici integri.
Nell’opera agiografia sulla Santa di padre Giovanni da San Bernardo viene sottolineata, infatti, come la sua protezione abbia salvato i palermitani anche dalla distruzione della città.
La mostra, quindi, allestita nelle Sale Duca di Montalto al Palazzo Reale, attendeva proprio questo quadro per completare un excursus storico, antropologico e sociale sulla Patrona e il suo culto attestandosi come un unicum in tutto il mondo.
L’opera è più di una descrizione minuziosa degli edifici religiosi, civili e pubblici. Molto di più di un racconto sul culto devozionale di Santa Rosalia in tutto il mondo. È la prova pittorica della magnificenza del Regno di Sicilia e della sua capitale Palermo. L’arte si sostituisce alle parole e comunica con la sua forza dirompente utilizzando il registro linguistico della religione perché tutti possano “vedere, ascoltare e sentire”.
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