“A margine delle notizie di stampa relative ad alcuni arresti operati dai carabinieri di Trapani e Palermo il 16 aprile scorso in esito ad indagini per mafia sviluppatesi dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro, diverse testate giornalistiche, anche televisive, hanno diffuso la notizia secondo cui dalle investigazioni sarebbe emerso che, nel corso di un summit tra soggetti associati alla consorteria criminale, si sarebbe affrontato il tema di come riciclare il tesoretto procurato dalle attività illecite di Calogero Jonn Luppino, nostro assistito. Precisiamo allora che Calogero Luppino, che non ha ricevuto alcuna comunicazione in ordine alle indagini di cui si discute, non è mai stato nemmeno accusato di aver riciclato danaro di provenienza illecita”. Lo dice in una nota l’avvocato di Luppino, Francesco Petrelli.

“Le accuse nei suoi confronti, sotto questo profilo peraltro ancora sottoposte al giudizio della corte d’appello dopo l’annullamento della Cassazione, riguardavano l’ipotesi contraria e cioè che egli avesse parte dei suoi proventi leciti alla consorteria – spiega – è anzi, sotto il profilo del reimpiego che la corte di Cassazione ha annullato la condanna di Luppino, che pertanto riserva ogni azione a tutela della verità dei fatti dopo un’analisi più approfondita delle singole informazioni”.

Le indagini per il maxiriciclaggio di soldi dei clan vicini a Messina Denaro

Nove indagati su undici coinvolti nell’inchiesta della Dda di Palermo su un maxiriciclaggio di denaro che mafiosi vicini a Matteo Messina Denaro avrebbero fatto per ripulire i soldi dei clan palermitani sono rimasti in silenzio davanti al gip nel corso dell’interrogatorio di garanzia.

L’interrogatorio

Gli unici a non avvalersi della facoltà di non rispondere sono stati solo Antonino Putaggio e Leonardo Palmeri che hanno dato ai pm la loro versione dei fatti. Gli altri, da Salvatore e Andrea Angelo, padre e figlio, mafiosi di Salemi al centro dell’operazione, al capomafia palermitano Michele Micalizzi si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. L’inchiesta, oltre a svelare il riciclaggio che sarebbe stato tentato dagli indagati, ha fatto emergere il piano della mafia di acquisire 12 punti vendita della Coop Sicilia, di riciclare lire fuori corso per conto della ‘ndrangheta e di ripulire il denaro di Calogero John Luppino, il re delle scommesse clandestine online, altro fedelissimo dell’ex latitante.

Il gip di Palermo ha respinto la richiesta di arresti domiciliari avanzata da Andrea Bonafede, cugino e omonimo del geometra che ha prestato l’identità a Matteo Messina Denaro, condannato a 6 anni e 8 mesi per favoreggiamento aggravato del capomafia. La Procura gli aveva contestato l’associazione mafiosa: la derubricazione del reato in favoreggiamento era alla base dell’istanza di sostituzione del carcere con i domiciliari fatta dall’imputato.

Nelle scorse settimane la Procura ha presentato appello contro la sentenza di condanna di Bonafede e ha depositato una serie di nuovi elementi che dimostrerebbero il ruolo di associato mafioso, e non solo di favoreggiatore, di Bonafede. L’operaio avrebbe assicurato assistenza e aiuto costanti al boss in diverse fasi della latitanza. Oltre a fare la spola con lo studio del medico del padrino per consegnare e prendere esami e ricette nel periodo in cui Messina Denaro era ammalato di cancro, l’avrebbe accompagnato a farsi dei tatuaggi e a pranzare al ristorante a Palermo. I due, dunque, avrebbero avuto una frequentazione stretta. Sarebbe stato, inoltre, Bonafede ad acquistare il cellulare riservato che il capomafia usò durante il suo ricovero per l’intervento chirurgico subito nel 2020 all’ospedale di Mazara del Vallo.