Era finito a processo con la pesante accusa di avere violentato una donna. L’avrebbe fatta entrare nel suo magazzino con il pretesto di volerla aiutare economicamente per poi stuprarla. Da questo è scaturita l’imputazione di violenza sessuale e sequestro di persona aggravata per la quale il pubblico ministero di Termini Imerese aveva chiesto la condanna dell’imputato a 15 anni di reclusione.

Un’accusa infamante che è stata smontata nel corso del processo che si è svolto con il rito abbreviato al tribunale di Termini Imerese. E alla fine il gup Stefania Gallì ha stamani assolto Peppinello Barbarotto, Ispettore della Guardia forestale di 56 anni, con la formula più ampia e liberatoria “perché il fatto non sussiste”.

I fatti oggetto del processo si sarebbero svolti a Castelbuono in un pomeriggio dei primi di settembre del 2014. In quei giorni l’uomo avrebbe chiamato A.R., sua vicina di casa che conosceva da anni, “al fine di aiutarla a far fronte ai suoi problemi economici”, ma entrata nel suo magazzino avrebbe chiuso la porta a chiave e l’avrebbe costretta “a subire il palpeggiamento dei seni e un rapporto vaginale completo”, e poi si sarebbe “pulito con una carta celestina”.

Una versione che è stata smontata dalle copiose indagini difensive svolte per 4 anni dall’avvocato Gioacchino Genchi. Infatti, come è emerso dall’audizione di alcuni testimoni, sarebbe stata la donna a cercare Barbarotto per chiedergli un prestito in denaro oppure di fare da garante nella banca dove lavora il fratello. Inoltre, la donna ha cambiato più volte la data in cui si sarebbe verificata la violenza e man mano che la difesa aveva dimostrato che nei pomeriggi di quei giorni l’indagato si trovava in servizio a Collesano, la donna ha cambiato ripetutamente versioni.

Lo stesso è avvenuto nel corso dell’incidente probatorio, allorquando la donna ha ancorato i suoi ricordi ad una visita medica che il giorno successivo alla violenza avrebbe eseguito all’Ospedale di Cefalù, dove però non ha fatto alcun cenno ai sanitari della violenza subita. Si dà il caso che anche quel pomeriggio l’imputato non era a Castelbuono ma si trovava regolarmente in servizio a Collesano, come risultava dai tabulati telefonici e dagli attestati di servizio del Corpo Forestale. A quel punto, dopo che l’imputato sicuro di potere dimostrare la propria innocenza aveva optato per il rito abbreviato, la donna ha cambiato nuovamente versione, riferendo di avere subito la violenza in un altro pomeriggio in cui, dagli attestati di servizio dell’imputato, risultava libero da impegni lavorativi. La donna ha collocato il suo ricordo ribadendo che si ricordava che mentre era al magazzino dell’imputato avrebbe chiamato la madre col suo cellulare “dicendo che era da Peppinello”, come aveva confermato l’anziana signora quando venne sentita dai Carabinieri.

A seguito del deposito delle trascrizioni difensive da parte dell’Avv. Genchi, a dimostrazione dell’assoluta inattendibilità della denunciante, il pubblico ministero di Termini Imerese ha aperto un ulteriore procedimento penale per tentata violenza sessuale a carico del maresciallo dei Carabinieri che aveva eseguito la notifica, che è stato poi archiviato dal gip Michele Guarnotta su richiesta della procura di Termini Imerese.

Alla luce dell’attività difensiva e dei riscontri che sulla personalità della donna si sono ricavati da altri analoghi procedimenti penali attivati su denuncia della donna l’avvocato Genchi ha chiesto l’assoluzione del suo assistito e la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica di Termini Imerese per valutare l’ipotesi di calunnia nei confronti della presunta persona offesa, oltre che per il reato di favoreggiamento nei confronti della madre, della figlia e dell’amica praticante avvocato.

L’assoluzione per formula piena dell’imputato “perché il fatto non sussiste”, infatti, dispsta dal gup Gallì, rende automatica l’attivazione del procedimento penale nei confronti della denunciante e dei testi che con le loro mendaci dichiarazioni hanno favorito la calunnia dell’imputato e la sua successiva incriminazione, da cui sarebbe potuta conseguire la condanna a 15 anni di carcere, come richiesto dal pubblico ministero a conclusione della sua requisitoria.