La mattina lavorava in procura come commesso giudiziario maneggiando carte e fascicoli anche coperti dal segreto istruttorio e il pomeriggio nell’azienda di trasporto del suocero raggiunta ad agosto dall’interdittiva antimafia emessa dal prefetto di Palermo.

Le indagini della polizia, coordinate dalla procura, hanno accertato che Feliciano Leto, ex Pip di 45 anni arrestato su provvedimento del gip Lirio Conti, avrebbe passato informazioni riservate a indagati e anche a un boss. Avrebbe fotografato le carte processuali ancora segrete e le avrebbe girate tramite Whatsapp anche ai diretti interessati.

Avrebbe comunicato anche le proroghe delle intercettazioni. Si sentiva potente e inattaccabile. Lui non era dipendente del ministero della giustizia. Era distaccato dalla Regione per svolgere un ruolo delicato. Il passaggio dei fascicoli dalla procura al gip. E mentre prendeva i fascicoli se li leggeva, li spulciava e li fotografava.

A confermare i sospetti sull’ex Pip sarebbe stato un spyware installato nel suo cellulare che ha registrato ogni sua mossa e captato tutti quelli con cui parlava e si incontrava. Per la procura di Palermo una talpa che avrebbe passato notizie riservate a chi era indagato. Leto avrebbe sottratto e fatto avere ai familiari del boss della Kalsa, Luigi Abbate, detto Gino u Mitra, un hard disk con informazioni su un’indagine di mafia della Dda del capoluogo. Leto, a cui si contesta il reato di favoreggiamento, avrebbe preso l’hard disk dal fascicolo che era incaricato di trasportare da un ufficio all’altro della procura e l’avrebbe fatto avere al nipote del capomafia.

Con indagati si incontrava nel chioschetto dei cornetti e dopo avere sorseggiato un caffè si spostavano. “Ci sono proroghe contro proroghe – raccontava Leo – Intercettazioni contro intercettazioni. Per ora hai il telefono sotto controllo. Io non ti ho mandato niente perché c’hai pure whatsapp sotto controllo. Ci sono intercettazioni fino al 15 ottobre. Fino al 15 ottobre si è lavorato e ancora si lavora”.

Era sicuro Leto. “Io qua dentro non mi possono fare niente, non è che sono impiegato ministeriale – dice il commesso giudiziario – Lo sai l’unica cosa che mi possono fare il nulla osta in uscita e mi fanno una cortesia”. E invece è arrivato il provvedimento di custodia cautelare in carcere con l’accusa di favoreggiamento, continuato e aggravato.