Scrivere che la società Fininvest di Silvio Berlusconi ha pagato Cosa nostra ed è stata in rapporti con la mafia si può. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione dopo un processo durato 7 anni. Assolti dalle accuse di diffamazione il magistrato Luca Tescaroli (in foto), il giornalista Ferruccio Pinotti e la loro casa editrice, la Rcs Libri, per la pubblicazione del libro “Colletti sporchi” nel quale avevano “evocato il coinvolgimento di Fininvest nel riciclaggio di denaro di provenienza mafiosa”.

Assolti

Il libro “Colletti sporchi” non diffama Fininvest. Avevano ragione dunque gli autori del libro. Nessuna diffamazione è stata commessa ai danni della società di Silvio Berlusconi.

Il procuratore aggiunto di Firenze Luca Tescaroli, è un magistrato che si è occupato della Strage di Capaci, rappresentando l’accusa nel processo in cui chiese chiedendo 32 ergastoli (24 comminati); ma si è occupato anche dell’inchiesta sull’omicidio del presidente del Banco Ambrosiano, Roberto Calvi ed è titolare dell’indagine della Procura di Firenze sui cosiddetti “mandanti esterni” delle stragi del 1993 di Roma, Firenze e Milano.

Il contenuto del libro

Gli autori riportano nel libro le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, Salvatore Cancemi, che riferiva di “versamenti periodici di somme a titolo di contributo effettuati a Cosa nostra da persone fisiche appartenenti al gruppo Fininvest”. Cancemi rivelò: “Riina si era attivato, dagli anni 1990-91, per coltivare direttamente (…) i rapporti con i vertici della Fininvest tramite Craxi”. E poi: “Appartenenti al Gruppo Fininvest versavano periodicamente 200 milioni di lire a titolo di contributo a Cosa Nostra”. E infine: “Riina, nel 1991, aveva riferito (a Cancemi, ndr) che Berlusconi e (…) Marcello Dell’Utri erano interessati ad acquistare la zona vecchia di Palermo e che lui stesso (Riina, ndr) si sarebbe occupato dell’affare, avendo i due personaggi ‘nelle mani’”.

Dichiarazioni che per la Fininvest erano “inattendibili” e “prive di riscontro”. Dopo le sentenze d’assoluzione già in primo grado e in appello, anche la Cassazione gli ha dato torto.

La difesa e la sentenza

Rispettivamente difesi dagli avvocati Fabio Repici e Caterina Malavenda, Luca Tescaroli e Ferruccio Pinotti vennero tacciati di “spregiudicata tecnica narrativa”, e di “lanciare diffamatorie accuse contro la Fininvest”.

La Cassazione ha verificato la “la sussistenza dei requisiti della continenza, della veridicità dei fatti narrati e dell’interesse pubblico alla diffusione delle notizie”, nonché “della congruità e logicità della motivazione”, respingendo il ricorso della Fininvest e condannandola a pagare le spese di giudizio, “quantificate in 7.790 euro, oltre le spese forfettarie nella misura del 15% agli esborsi liquidati in 200 euro ed agli accessori di legge”.

(LA SENTENZA QUIPDF)

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