Debutta il 10 gennaio alle 21.00, nella Sala Strehler del Teatro Biondo di Palermo, C’era e c’era Giuseppe Schiera, l’omaggio di Salvo Licata al “cantore beffardo” della Palermo popolare degli anni del fascismo. Il nuovo allestimento, prodotto dal Biondo in collaborazione con l’Associazione Culturale Kleis è diretto da Enrico Stassi, che aveva portato per la prima volta in scena il testo di Licata nel 1995.

Salvo Piparo interpreta, con la sua incontenibile verve, le irriverenti “sparatine” di Schiera, che sono l’anima del testo di Licata, originariamente interpretato da Giorgio Li Bassi e oggi arricchito dalla voce di Costanza Licata, che prolunga in scena l’impegno e la memoria del padre Salvo interpretando le sue canzoni. Completano il cast Giovanni Valenza e Marco Macaluso alla fisarmonica. Le scene sono di Elisabetta Giacone.
Repliche fino al 21 gennaio.

Peppe Schiera, poeta di piazza, era nato nella borgata di Tommaso Natale nel 1898, e morì, dopo una vita di stenti, nel bombardamento del 9 maggio ’43 davanti al rifugio antiaereo di via Perez. «Ai toni trionfalistici dei giornali, cinegiornali e manifestazioni ufficiali dell’epoca – scrive Licata – Schiera opponeva un controcanto, tutt’altro che sommesso, fatto di sberleffi e della più cruda realtà quotidiana. Per questo suo modo irriverente, conobbe i rigori del regime: olio di ricino, manganello e frequentissimi soggiorni in camera di sicurezza».

«Di fronte a un testo teatrale così “pirotecnico” e ricco di parola – spiega il regista Enrico Stassi – ho scelto di celarmi il più possibile: allora (nell’edizione del 1995), come adesso, nell’incontro con Salvo Piparo, che ha preso il testimone di una tradizione affabulatoria e poetica così cara ai palermitani. Ho concepito con discrezione un disegno nel quale il testo di Salvo Licata, i suoi umori surreali e metafisici, il suo interprete sanguigno, venissero esaltati con l’aiuto di pochi elementi essenziali: un solo attore parlante (Salvo), che interpreta anche tutta la teoria di voci e personaggi presenti nel copione; un secondo attore, muto (Giovannino), che è a un tempo servo di scena, spalla, figurina pubblicitaria, illustrazione d’epoca e anche piccolo alter ego di Giuseppe Schiera; un’ambientazione sonora di musiche del tempo e alcune “apparizioni musicali” dal vivo (Costanza e Marco) dietro le quali si cela la voce dell’autore e il suo sguardo sulla città».

Note di regia

«Di fronte a un testo teatrale così “pirotecnico” e ricco di parola, la regia ha scelto di celarsi il più possibile: allora (nell’edizione del 1995), come adesso, nell’incontro con Salvo Piparo, che ha preso il testimone di una tradizione affabulatoria e poetica così cara ai palermitani.
Ho concepito con discrezione un disegno nel quale il testo di Salvo Licata, i suoi umori surreali e metafisici, il suo interprete sanguigno, venissero esaltati con l’aiuto di pochi elementi essenziali: per fondale, lenzuola stese; un solo attore parlante (Salvo), che interpreta anche tutta la teoria di voci e personaggi presenti nel copione; un secondo attore, muto (Giovannino), che è a un tempo servo di scena, spalla, figurina pubblicitaria, illustrazione d’epoca e anche piccolo alter ego di Giuseppe Schiera; un’ambientazione sonora di musiche del tempo e alcune “apparizioni musicali” dal vivo (Costanza Licata e Marco Macaluso) dietro le quali si cela la voce dell’autore e il suo sguardo sulla città.
Il gioco mercuriale di Schiera u Nicu – con tutta la sua ambiguità di joker, angelo, demonietto, traghettatore d’anime – sarà palese alla fine, quando farà strada allo Spirito di Schiera che racconterà tutti i particolari della propria stessa morte. Verrà il sospetto, a questo punto, che il rito appena celebrato altro non è che un teatrino delle armuzzi r’i cuorpi dicullati, eterno presente degli Spiriti di Palermo, che ancora vorrebbero dialogare coi vivi.
Ah, dimenticavo la radio!
Sin dalla prima lettura del testo, la radio è stata un mio chiodo fisso, la presenza in scena di una radio d’epoca. Si imponeva alla mia immaginazione che Schiera u Nicu apparisse sempre con una radio sottobraccio, così come – azzardo un paragone – Ermes è sempre raffigurato con il suo caduceo. D’altronde, il riferimento emblematico è simile: la trasmissione dei messaggi degli Dei … o di quelli umani spacciati per divini, così cari ai regimi vecchi e nuovi. Quelli verso i quali Schiera è stato sempre una voce contro».
Enrico Stassi

Palermo parlava con la sua voce

«Di Giuseppe Schiera per la prima volta mi parlò un collega del giornale “L’Ora”, anche se precedentemente ne avevo sentito dei frammenti, che i palermitani citavano proverbialmente senza conoscerne sempre l’origine. Era il ’62, Schiera era morto da quasi vent’anni, eppure la città ne era piena.
Il collega era Gianni Daniele e le cose che diceva erano famosi bollettini di guerra. Ne fui conquistato. Da allora Schiera mi ha accompagnato. Per ricambiare, gli ho dedicato articoli di giornale, programmi alla radio e un pezzetto di teatro (Cabaret dei Travaglini, marzo 1967).
Mettere insieme le sue cose ha richiesto qualche piccolo sacrificio. Della sua produzione, di scritto, non è rimasto niente. Ho dovuto attingere alla memoria dei più anziani. Mi è stato d’aiuto il fotografo Nicola Scafidi, che ne conserva un ricordo diretto e irresistibile (ma anche struggente).
Negli anni culminanti del fascismo e della guerra, Palermo ebbe questo cantore beffardo, il suo bersaglio – ma al contempo il tema dei suoi componimenti predominanti – fu la boria del regime mussoliniano. Alla visione trionfalistica dei giornali, cinegiornali e manifestazioni ufficiali, Schiera opponeva un controcanto, tutt’altro che sommesso, fatto di sberleffi e della più cruda realtà quotidiana. Per questo suo modo irriverente, conobbe i rigori del regime: olio di ricino, manganello e frequentissimi soggiorni in camera di sicurezza. Tanto che, morto lui, la moglie, Margherita Vaccaro, bruciò circa duemila foglietti con su impresse tante cose di Schiera, chissà quale tesoro. Non aveva capito che con lo sbarco degli alleati il fascismo era finito.
Schiera era nato nella borgata di Tommaso Natale nel 1898 e sarebbe poi morto, dopo una vita di stenti, da poeta-guitto, poeta-di-piazza, nel bombardamento del 9 maggio ’43 davanti al rifugio antiaereo di via Perez. I suoi resti sono nell’ossario di Sant’Orsola».
Salvo Licata
Palermo, 1995