Nonostante sia stata fatta una legge regionale per la loro assunzione, per garantirgli i mezzi necessari alla sussistenza, la vita dei testimoni di giustizia siciliani è tutt’altro che semplice.
Negli uffici dove sono stati mandati a lavorare il clima non è affatto sereno.

Il problema riguarda soprattutto quelli in servizio nella succursale romana di Palazzo d’Orleans, che si trova in via Marghera nella Capitale.

Liti, minacce, denunce ed una convivenza impossibile. A raccontare una situazione ormai paradossale è Repubblica Palermo.
I testimoni di giustizia sottoposti a programma di protezione, pur essendo assunti dalla Regione siciliana, non possono lavorare in Sicilia e vengono dunque mandati nella sede romana dell’amministrazione regionale.

Molti di loro che per motivi di sicurezza risiedono in località segrete vorrebbero poter lavorare più vicino a casa e alle loro famiglie, ma non è possibile. Quindi, tutti a Roma, dove la tensione è alle stelle soprattutto per i 16 neo-assunti costretti a lavorare a stretto contatto: ciò anche perché – raccontano i dirigenti e conferma uno dei dipendenti – alcuni dei testimoni hanno denunciato parenti o persone vicine agli altri colleghi. E gli accusati spesso siedono accanto agli accusatori.

Insulti, urla e spintoni sul luogo di lavoro: già cinque dipendenti su 16 hanno ricevuto un richiamo disciplinare.
Al capo dipartimento degli Affari extraregionali Maria Stimolo, da cui dipende l’ufficio di Roma, non è rimasto che segnalare al governatore “numerosi episodi di mancanza di rispetto fra gli stessi colleghi neo-assunti che influiscono in modo negativo sul buon andamento delle attività lavorative e sul decoro dell’ufficio”.

Tra due dipendenti furibonde, separate a fatica dal capoufficio, si sarebbe verificata una lite con tanto di grida e bestemmie. Una impiegata è stata denunciata dalla collega che ha riferito che la ‘rivale’ avrebbe afferrato il monitor del computer con l’intenzione, forse, di lanciarglielo addosso.

Negli uffici romani di Palazzo d’Orleans gli impiegati sono 41 in tutto. Solo 4 dei sedici assunti hanno una sistemazione precisa: tutto gli altri fanno fotocopie o portano carte da un ufficio all’altro.

Al problema una soluzione potrebbe anche esserci. Esiste infatti un emendamento che prevede la possibilità per i testimoni di giustizia di andare a lavorare per un’ altra amministrazione (sempre a carico della Regione) ma al momento rimane lettera morta.

L’associazione dei testimoni di giustizia, presieduta da Ignazio Cutrò (nella foto di repertorio), non nasconde la propria preoccupazione: “Siamo confusi e gravemente amareggiati da questa vicenda e da come la si sta gestendo – si legge in una nota- Il governo è al corrente che non possiamo stare un giorno di più nella sede romana della Regione, a meno di non voler inaugurare una nuova forma di vittime di mafia con l’ aggravante della perdurante inadempienza e incoscienza».

Si appellano a Mattarella, i testimoni di giustizia: “Lo stesso programma di protezione del Viminale – dice uno di loro, Giuseppe Carini – dice che non possiamo stare concentrati nello stesso posto e senza adeguate tutele. Qualcuno ci aiuti perché rischiamo la vita. Se non arriverà presto una risposta, presenteremo dimissioni di massa”.

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