L’esigenza di verità per riannodare i fili del passato, diradarne le ombre, capire “fino a che punto l’amore può arrivare”.
Marcello Badalamenti, 56enne di Partinico, in provincia di Palermo, è un figlio abbandonato alla nascita.
Vi avevamo raccontato la sua storia 7 anni fa, (anche tramite un video del quale oggi vi proponiamo un estratto), e adesso Marcello, che non ha mai perso la speranza di rintracciare la propria madre biologica, vuole lanciare l’ennesimo appello.
Marcello è ancora in cerca della verità sulle proprie origini.

L’appello

“Sono sempre fermo allo stesso punto – dice l’uomo – ma non mi arrendo. Quando ho iniziato le ricerche di mia madre, tanto tempo fa, ero ovviamente più giovane e forse risoluto e determinato ma si dice che la speranza è l’ultima a morire ed io ci credo. Non voglio mollare. A volte la mia battaglia mi sembra un’utopia ma non posso arrendermi. Il mio appello è sempre lo stesso: se qualcuno sa qualcosa si faccia avanti, un figlio non si può nascondere per tutti questi anni e nessuno sa niente. Magari anche mia madre mi sta cercando. Nonostante tutto, le sono grato di avermi dato la possibilità di vivere. Come sappiamo purtroppo dalla cronaca, i figli indesiderati vengono anche lasciati nei cassonetti dei rifiuti o per strada, è accaduto tante volte. Invece lei no, non mi ha tenuto con sé ma mi ha partorito in un luogo sicuro. Vorrei trovarla per capire perché è successo. A volte penso che forse ho dei fratelli o delle sorelle, che mi sono mancati perché sono cresciuto da figlio unico. Mi sarebbe piaciuto condividere con loro la quotidianità, così come litigare magari per delle sciocchezze, come un giocattolo”.

La storia di Marcello Badalamenti

Marcello Badalamenti nasce nella notte tra il 16 e il 17 gennaio 1965 alla clinica Savino e Santomauro di Palermo, al civico 88 di via Ammiraglio Gravina, a due passi da piazza Politeama, il salotto buono della città.
Viene alla luce venti minuti dopo la mezzanotte. Gli viene dato il nome del santo del giorno appena trascorso, Marcello, ed un cognome fittizio, Lo Bianco.
Accade perché chi lo ha partorito vuole mantenere il segreto sulla propria identità. Marcello, infatti, è nato da una donna “che non consente di essere nominata”, come è scritto nei documenti in suo possesso.
Due giorni dopo la nascita viene trasferito all’Istituto provinciale per l’Assistenza all’Infanzia di via Onorato, sempre a Palermo; ad un anno di età viene dato in affidamento a due coniugi di Partinico, e dopo il normale iter burocratico adottato formalmente dalla coppia da cui prende il cognome.
Inizia la sua nuova vita, quella di Marcello Badalamenti.
“Ho avuto due genitori stupendi”, dice Marcello commuovendosi.
Mamma Lucrezia e papà Vincenzo regalano al figlio una infanzia da sogno.
Marcello cresce circondato dall’affetto di zii, cugini e parenti, tra coccole, giochi, numerose gite in campagna e feste familiari.
Un figlio da amare smisuratamente e da proteggere ad ogni costo. Questo è Marcello per Lucrezia e Vincenzo, che non gli hanno mai rivelato la sua storia di figlio adottivo.
Marcello però percepisce un vago senso di inquietudine. Quando chiede alla mamma di raccontargli della sua nascita le risposte si fanno evasive ed essenziali. Tra le moltissime foto di quando era piccolo non c’è nessuno scatto del suo battesimo o del primo compleanno.
“Eri molto malato – gli viene detto – non c’era tempo per fare le fotografie”.
Quando ha 7 anni una compagna di giochi gli chiede se è vero quello che si dice in paese, se è vero che è stato adottato. Il bimbo corre a casa, racconta tutto alla madre che nega, parla di pettegolezzi e si fa promettere dal figlio che non avrebbe mai più dubitato di lei.
Marcello inizia a farsi tante domande ma non riprende più l’argomento con i suoi genitori.
Trascorrono molte altre primavere.
All’età di 23 anni Marcello confida i suoi sospetti alla moglie Loredana e agli amici, sono loro a confermargli che è un figlio adottivo. Tutti sapevano tranne lui.
“Ho provato rabbia e amore allo stesso tempo – dice ricordando quel momento -. Rabbia perché mi sono chiesto le motivazioni del mio abbandono. Amore perché comunque sono stato fortunato ad avere due genitori come i miei ed una madre biologica che comunque, anche se non so chi è, mi ha messo al mondo”.
Marcello inizia, senza farne parola con nessuno, “perché mi vergognavo” – precisa – le sue ricerche. Parla con la zia Franca, sorella della madre, e scopre che è lei a conservare tutti i documenti relativi alla sua adozione, depositaria di un segreto da tenere nascosto in un cassetto, dei dettagli di un passato che nessuno doveva conoscere.
Ma nei documenti consegnati dalla zia non esiste alcun riferimento alla madre biologica di Marcello. Forse qualche informazione sulla donna sarebbe desumibile dalla cartella clinica della struttura dove Marcello è nato, che però ha chiuso alla fine della anni Sessanta.
A Marcello, che nelle sue ricerche in passato è stato assistito anche da un legale, viene detto che tutta la documentazione sui ricoveri nella clinica è stata portata al macero e poi distrutta.
Ma c’è di più: zia Franca aveva detto a Marcello che per lui sarebbe stato impossibile risalire alla propria madre biologica. “La zia – spiega l’uomo – mi ha raccontato che un mio parente, uno zio che lavorava al carcere minorile e che aveva agganci anche al Tribunale dei Minori di Palermo, tramite conoscenze, aveva ‘imbrogliato’ la documentazione relativa alla mia nascita. Non escludo che siano stati falsificati degli atti. Forse non è vero che mia madre non ha voluto essere nominata, forse questo è stato scritto dopo. Sono stato al Tribunale dei Minori, non esiste alcun fascicolo completo sulla mia adozione. E’ tutto molto strano”.
Quando Marcello diventa padre inizia a guardare la sua storia con occhi diversi. Pervaso da un senso di tenerezza e da maggiore consapevolezza, decide di cercare la madre biologica, costi quel che costi. Ma solo dopo la morte di entrambi i genitori, e quando ormai non ha più paura di ferirli, si butta a capofitto nelle ricerche. Parla del suo passato alle figlie, che lo sostengono tutt’oggi nella sua battaglia, anche loro in cerca della verità.

Il macigno della burocrazia e le leggi

I figli adottivi in Italia devono fronteggiare una estenuante e spesso vana trafila burocratica che pesa come un macigno sulle vite di chi vuole solo sapere chi sono i suoi genitori biologici.
La legge 184 del 1983 impedisce, di fatto, a chi è stato adottato, di conoscere l’identità di chi lo ha partorito, a meno a che la mamma non abbia dato consenso esplicito.
A ciò si aggiunge l’articolo 93 del testo unico sulla privacy del 2003, ovvero il Codice in materia di Protezione dei Dati personali, che recita testualmente: “Il certificato di assistenza al parto o la cartella clinica, ove comprensivi dei dati personali che rendono identificabile la madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata, possono essere rilasciati in copia integrale a chi vi abbia interesse in conformità alla legge decorsi 100 anni dalla formazione del documento”.
Sono state numerose negli anni in Italia le battaglie giudiziarie dei figli adottivi che hanno portato ad una svolta: con la sentenza 178 del 22 novembre 2013 la Consulta ha dichiarato l’incostituzionalità parziale dell’articolo 28 della legge 184, in particolare il comma 7, secondo cui l’accesso alle informazioni non è consentito nei confronti della madre che abbia dichiarato alla nascita del bambino di non voler essere nominata.
La decisione della Corte Costituzionale potrebbe consentire, ma il condizionale è d’obbligo, al figlio adottivo, che abbia compiuto il venticinquesimo anno di età, di accedere alle informazioni sulle sue origini. In pratica, l’istanza del figlio, viene fatta pervenire alla madre biologica che può decidere se acconsentire a rivelare la propria identità o al contrario, continuare a mantenere l’anonimato.
Con la sentenza Godelli del settembre 2012 la cosiddetta “legge dei 100 anni” era già stata oggetto di condanna da parte della corte di Strasburgo, per la mancanza di misure che consentano all’adottato di verificare la persistenza nella madre della volontà di non rivelare la propria identità. Nei fatti, tra i due diritti che si scontrano, quello della madre a partorire in anonimato, e quello del figlio a conoscere la sua provenienza, la normativa italiana tutela solo il primo.

L’attesa riforma della legge italiana sulle adozioni

“Il diritto alle origini biologiche, da parte dei figli adottivi è stato definitivamente sancito dalla Corte di Cassazione a sezioni unite, con la Sentenza 1946/2017, scavalcando l’immobilità del Parlamento che non ha licenziato la legge di modifica della 184/83, benché richiesta dalla stessa Corte Costituzionale già dal 2013”. Lo conferma a BlogSicilia Emilia Rosati, fondatrice nel 2008, insieme ad Anna Arecchia, del Comitato nazionale per il Diritto alle Origini Biologiche.
Grazie alla citata Sentenza della Cassazione si può accedere a una procedura, riservatissima, che consente agli adottati adulti di conoscere l’identità dei propri genitori biologici, nell’ambito del diritto alla conoscenza delle proprie origini, alla costruzione della propria identità e del diritto alla salute.
Resta salvaguardato, però, il diritto della donna che non abbia riconosciuto il figlio alla nascita di negare il consenso alla revoca dell’anonimato, quando interpellata da parte del Tribunale per i minorenni, che rimane l’unico abilitato a contattare la madre nella massima riservatezza e verificare la sua decisione di mantenere o meno il segreto.
Rosati spiega: “Non è possibile, nel caso specifico della storia di Marcello Badalamenti, che siano spariti sia la cartella clinica relativa al parto sia la pratica al Tribunale dei Minori. Esiste una legge secondo la quale le cartelle cliniche, tutte, vanno conservate, anche se ospedali o cliniche chiudono, presso archivi esterni. Le cartelle cliniche non possono essere distrutte. Ospedali e tribunali spesso ‘giocano’ sul fatto che gli avvocati non sono a conoscenza di questa circostanza. Non è la prima volta che sento di documenti ‘spariti’ nei tribunali. Ma di qualsiasi fascicolo di adozione esiste copia, anche i tribunali, quando non hanno più ‘spazio’, inviano ad archivi esterni. E poi c’è un aspetto da considerare: prima del 1984 tutte le pratiche di adozione erano di competenza della Corte di Appello, poi sono passate ai tribunali normali. Questo non tutti lo sanno”.
E ancora: “Restiamo in attesa della riforma della legge sulle adozioni del 1967 che è ormai vecchia e non tutela affatto i figli adottivi. Noi come Comitato ne aiutiamo tanti, perché non tutti hanno i soldi per rivolgersi ad un avvocato. Negli anni sono stati presentati almeno una decina di disegni di legge per modificare l’accesso agli atti relativi alle adozioni ma in Italia siamo sempre indietro, su tanti fronti”.

I figli non riconosciuti alla nascita

I figli non riconosciuti alla nascita in Italia sono 400mila. Un vero e proprio esercito di persone “alle quali – precisa Rosati – si aggiungono gli eredi di coloro che stavano facendo ricerche sulle proprie origini e poi magari sono deceduti. Figli e nipoti, spesso, continuano questa battaglia, anche loro alla ricerca delle ‘radici’ del congiunto che non c’è più. Bisogna fare al più presto una legge nella quale i diritti del figlio e quelli della madre vengano bilanciati.
La madre deve essere rintracciata e interpellata con la massima riservatezza per verificare se è disponibile a togliere la clausola dell’anonimato.
Io conosco moltissime storie di figli adottivi, e soprattutto di madri, che hanno partorito quando ancora erano troppo giovani per prendere una decisione in autonomia. Molte sono state separate dai figli con bugie, a tante era stato detto che i figli erano morti durante il parto o poco dopo. Sono storie vere, non da film. Ho assistito a numerosi  ricongiungimenti tra madri e figli davvero emozionanti.
La legge dei 100 anni è ancora un grosso ostacolo, la Corte Costituzionale ha invitato il Parlamento a legiferare più volte. Nel 2016 la Corte di Cassazione a sezioni unite, interpellata da una persona che cercava i genitori biologici, ha ribadito la stessa cosa. Ne è conseguito che i tribunali non hanno più potuto dire di “no”, e hanno aperto alla possibilità di interpellare la madre biologica. Non c’è ancora però una legge organica e assistiamo ad interpretazioni diverse da regioni a regioni”.
Nel 2017 un’altra sentenza della Cassazione ha stabilito che nel momento in cui la madre sia deceduta, prevale il diritto del figlio vivente a conoscere la sua identità. “Però – conclude Rosati – i cittadini sono discriminati a seconda di dove vivono. Anche perché l’istanza va presentata al tribunale competente del luogo di residenza, indipendentemente dal luogo di nascita. Questo complica ulteriormente le ricerche”.

La speranza mai sopita di Marcello

Marcello Badalamenti cerca la sua mamma biologica da tanti anni ormai ma purtroppo senza esito positivo. Il suo appello è sempre lo stesso: “Se qualcuno sa qualcosa su mia madre mi contatti”.
Chi volesse mettersi in contatto con Marcello Badalamenti può scrivergli all’indirizzo mail marcello1701@libero.it.

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