I familiari del boss Giuseppe Arduino vivevano in uno stato ansioso. Erano consapevoli che il familiare che ricopriva un ruolo di vertice nel mandamento rischiava di essere di nuovo arrestato.
E’ quanto hanno accertato gli uomini della squadra mobile durante le intercettazioni ambientali e telefoniche. Dentro un’auto in via Messina Marine davanti al Bingo alcune donne della famiglia parlavano tra loro e non nascondeva le preoccupazioni che derivavano dalla consapevolezza che Arduino potesse di nuovo finire in carcere.
I precedenti
C’è chi non dormiva la notte temendo l’arrivo di polizia o carabinieri per portarlo di nuovo in un istituto penitenziario. Arduino, infatti era stato condannato a 10 anni di carcere con sentenza diventata irrevocabile nel 2018. Il 15 gennaio del 2021 era stato scarcerato dall’istituto di pena di Cosenza in concessione della liberazione anticipata e sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per tre anni.
A novembre del 2022 è stato denunciato per violazioni delle prescrizioni imposte alla sorveglianza speciali poiché senza patente guidava uno scooter Sh. Altra denuncia nell’ottobre del 2023 per aver violato gli obblighi della sorveglianza speciale.
L’omicidio allo Sperone
Il culmine arriva con il delitto dello scorso 26 febbraio allo Sperone che sarebbe scaturito da un debito di 2 mila e 500 euro attorno alle scommesse clandestine raccolte in un magazzino in via XXVII maggio a Palermo.
E nell’inchiesta che ha portato ai nove arresti della squadra mobile emerge il coinvolgimento proprio di Giuseppe Arduino oltre che di Vincenzo Vella nella gestione del gioco e delle scommesse insieme anche a Giancarlo Romano, l’uomo ucciso lunedì scorso durante una sparatoria. Secondo le indagini condotte dalla squadra mobile gli indagati hanno cercato di imporre sul territorio i circuiti di gioco d’azzardo on line a loro riferibili. Tanto che Vella, Arduino e Romano convocavano chi raccoglie le scommesse e non invitavano a non usare i pannelli di Mira.
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