L’opposizione politica di Partinico (Pa) ha chiesto le dimissioni del sindaco di Partinico Salvo Lo Biundo, dopo quanto emerso nel corso dell’indagine che ha coinvolto il direttore di Tele Jato Pino Maniaci nel corso del consiglio straordinario convocato al palazzo comunale in piazza Municipio. Nel corso delle indagini sarebbe emerso che il primo cittadino avrebbe assunto l’amante del giornalista prima nei cantieri lavoro poi nella segreteria.
La donna sarebbe stata pagata in questo secondo incarico con una colletta fatta da Lo Biundo e qualche assessore. Gli attacchi più duri nel corso di un’assise infuocata sono arrivati da parte del gruppo Cambiano Partinico, gruppo di Rifondazione, dal gruppo Misto e Prospettiva Comune.
Presenti 20 consiglieri dieci assenti. Per il gruppo di Rifondazione il sindaco si deve dimettere perché “ricattabile e connivente”. Parole che hanno innescato lo scontro. Lo Biundo ha ribadito che presenterà denunce contro tutti quelli che intaccano la sua onorabilità. “Non mi devo giustificare con nessuno – ha detto Lo Biundo nel suo intervento – non posso dire altro visto che ci sono ancora indagini aperte e non posso violare il segreto istruttorio”.
Ieri era andato in onda lo show che aveva visto protagonista solo lui: Pino Maniaci. “Resto sempre un protagonista, nel bene e nel male. Chi nasce tondo, non può morire quadrato”. La tentazione è troppo forte. Pure in una circostanza non proprio felice. Pino Maniaci, giornalista della tv Telejato noto per le sue battaglie antimafia, oggi indagato per estorsione, a fare il personaggio non rinuncia nemmeno nel giorno per lui più difficile.
Quello in cui deve rendere conto davanti al gip della pesantissima accusa che gli contesta la Procura di Palermo: avere usato la sua professione per avere denaro e favori da amministratori locali in cambio di una linea soft della sua emittente. Un reato grave, soprattutto visto il ruolo di paladino della legalità che il cronista ha impersonato per anni.
“Bene, benissimo. Ho risposto a tutte le domande”, dice al termine dell’interrogatorio, dando appuntamento ai colleghi giornalisti, che l’aspettavano in tribunale, nello studio dei suoi legali per una conferenza stampa. Per poterla tenere, visto il divieto di dimora nella provincia di Palermo disposto dal giudice, si è dovuto fare autorizzare. Sorride Maniaci, ostenta sicurezza.
E promette, stavolta lui dietro ai microfoni, che risponderà a tutti. Ma prima di lui parlano i suoi avvocati, Bartolo Parrino e Antonio Ingroia, ex pm che ora veste i panni del difensore. E si capisce subito che la linea scelta è quella dell’attacco frontale agli inquirenti.
“Un’arringa” a favore di telecamere, quella dei due avvocati, che indulge poco sulla difesa nel merito e punta alla tesi del complotto. Con Maniaci vittima di processo mediatico, Maniaci che paga per avere denunciato i magistrati delle misure di prevenzione di Palermo, e, che, al contrario di loro è sottoposto a misura cautelare”. Chi sarebbe il regista del complotto in verità non lo dice nessuno. Né Ingroia, né Parrino, nè il cronista accusato di estorsione.
E alla domanda diretta se sia la Procura di Palermo a voler “punire”, imbavagliandolo, il giornalista, segue un “no, no. Non sappiamo chi sia il regista”. Nella strategia di attacco scelta non possono mancare gli annunci di denunce.
“Denunceremo fatti legati all’attività delle amministrazioni locali di Partinico e Borgetto”, avverte Ingroia. (Partinico e Borgetto sono i comuni retti dai sindaci che Maniaci avrebbe taglieggiato ndr). E ad essere denunciati saranno anche il sindaco di Borgetto, che avrebbe avuto motivi di rancore verso il giornalista e perciò avrebbe confermato le accuse e i sospetti dei carabinieri, commettendo così calunnia, e chi ha montato il video distribuito dai militari in cui si sentono stralci della conversazioni del giornalista con le sue vittime.
Un video montato ad hoc con cenni a cose personali per distruggere il cronista, dicono gli avvocati. “La procura di Palermo deve chiedere conto ai carabinieri di questo video”, afferma Ingroia. Della violazione del segreto istruttorio denunciata dopo la notifica del divieto di dimora i legali, però, non parlano più. Forse perché tutti gli atti venuti fuori erano depositati. La stampa presente, lo studio era pieno di giornalisti, incalza.
E non può mancare la domanda sull’uccisione dei cani di Maniaci. Per l’accusa lui avrebbe saputo che dietro c’era il marito dell’amante, ma l’avrebbe fatta passare per intimidazione mafiosa.
“L’ho fatto per un tornaconto – dice Maniaci – perché avevo interesse che lei pensasse che fosse stato il marito. Mi volevo vantare”. Una spiegazione che non soddisfa i giornalisti che provano a insistere. Ma Ingroia interviene e chiude la discussione.
“Questi sono pettegolezzi”. Nel merito si entra solo marginalmente. La tesi difensiva è che i soldi raccolti da Maniaci, poche centinaia di euro sottolineano i legali, sarebbero stati destinati alla pubblicità per la tv.
“Quali minacce – dice l’indagato – io anche dopo aver preso il denaro ho continuato ad attaccare i sindaci”. E il lavoro al Comune procurato all’amante? “Aveva bisogno per la sua delicata situazione familiare”, risponde Maniaci, descrivendo in dettaglio davanti alle tv i guai della donna. Questo per il giornalista antimafia non è gossip.
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