C’è il laureato che vuole fare il ristoratore e che ha difficoltà ad accedere al credito delle banche; ci sono la studentessa di Medicina e la psicologa che si lamentano perché non hanno fatto tirocini e quindi non hanno l’esperienza giusta per inserirsi subito nel mondo del lavoro; c’è il musicista-avvocato, che ha fatto tanti mestieri, che chiede per i colleghi un corso di studi più snello ma ci sono anche i giovani che pensano di impiantare fuori dalla Sicilia la propria attività e quelli che si aggregano per crescere costruendo start-up innovative nella loro regione.

Storie di ragazzi, già laureati o in attesa di farlo, che vogliono creare il loro futuro ma che, a malincuore, sono pure disposti a lasciare la loro terra se non cambierà il modello di sviluppo che renda la Sicilia più competitiva col resto d’Europa.

Scelte precise e in tempi ragionevoli, meno burocrazia e apertura ai mercati internazionali, di questo si è parlato nella tavola rotonda “I giovani si ribellano: come lavorare in Sicilia”, organizzata dal Rotary Palermo Est, in collaborazione con i giovani del Rotaract Palermo Est, moderata dal giornalista Davide Camarrone alla sala Capitò, alla Scuola Politecnica dell’Università degli Studi di viale delle Scienze.

“Puntiamo sui giovani per un ritorno sociale e culturale”, ha aperto il dibattito Agostino Contorno, presidente del Rotary club PalermoEst, mentre Michele Masellis, presidente della Commissione Progetto Imprenditoria gioventù mediterranea e prospettive di lavoro, e Luca Randazzo, presidente Rotaract PalermoEst, hanno lanciato l’allarme sulla continua emorragia di cervelli provocata anche da decisioni poco lungimiranti. “I giovani che emigrano è un grande problema siciliano”, ha spiegato Masellis anche perché “su tanti progetti manca il contatto con la realtà del territorio”, ha aggiunto Randazzo.

Un appello accolto Fabio Mazzola, prorettore dell’Università di Palermo: “Da un lato dobbiamo spingere i ragazzi a cercare nuove esperienze anche all’estero; dall’altro è nostro dovere realizzare le condizioni affinché le professionalità tornino e si affermino in Sicilia. L’ateneo, ad esempio, sta lavorando a una laurea magistrale sul turismo assieme all’Università della Florida. Un progetto, basato su un settore importante e di grandi prospettive per l’isola, che può consentire agli studenti di specializzarsi negli Usa ma anche di attrarre studenti stranieri qui da noi. Senza dimenticare, ovviamente, di investire nell’economia digitale cercando di ridurre il gap esistente con le altre regioni del mondo”.

Per Emilio Arcuri, assessore comunale alla Rigenerazione urbanistica e urbana, il problema della fuga dei giovani risiede anche nella mancanza di infrastrutture. “A Palermo abbiamo appena appaltato i lavori per la fognatura in via Messina Marine: prima i liquami venivano versati direttamente a mare sulla Costa Sud. Siamo indietro rispetto all’Europa, chi resta non ha le opportunità giuste. Oltre alla formazione universitaria, dobbiamo dare risposte anche a chi è fuori da questo circuito. Ci sono progetti che potremmo portare avanti ma che, a volte, si fermano per lungaggini burocratiche. Mi riferisco, ad esempio, ai lavori del Palazzetto dello Sport: bisogna riformare le norme ed essere duri e severi con i dirigenti e i funzionari che non raggiungono gli obiettivi”.

Un segnale positivo arriva invece dalla testimonianza di Andrea Miccio di Invitalia, l’agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e dello sviluppo d’impresa. “Con i nostri fondi sosteniamo la crescita delle Start Up innovative. Negli ultimi 3 anni abbiamo aiutato circa 7000 aziende con modelli di valutazione molto celeri. La Sicilia ha ampiamente utilizzato il programma sfruttando anche un incubatore di impresa come Arca (società in parteneriato tra l’Università e aziende private, ndr), però abbiamo notato che molti ragazzi, pur avendo idee geniali, non sono ancora preparati a espanderle in maniera imprenditoriale”.

Il ruolo delle banche e la possibilità di ottenere finanziamenti rappresenta un altro punto fondamentale nella perdita di capitale umano verso destinazioni diverse dall’Italia. “Il mercato del lavoro è stagnante – ha detto Roberto Cassata di Unicredit Sicilia -, noi puntiamo in modo particolare su internazionalizzazione e e-commerce per sfruttare opportunità anche in Cina. Un nostro fiore all’occhiello è “Social Food”, una start up siciliano e un esempio positivo di business. Le banche, fino a 10 anni fa, hanno dato credito troppo facilmente con il risultato che molto denaro non è stato restituito. Oggi, tutto ciò non è più possibile”.

Secondo i segretari regionali dei sindacati confederali le scelte politiche hanno penalizzato la competitività favorendo l’addio di molti giovani. “A livello regionale non c’è un progetto univoco – ha detto Claudio Barone, segretario regionale della Uil Sicilia – anzi spesso ci sono state logiche clientelari. Ma anche in Sicilia si può fare impresa, penso al settore del turismo e dei Beni culturali”. Per Michele Pagliaro, segretario regionale della Cgil Sicilia “oltre il 50% dei giovani siciliani vogliono andare via perché c’è il rischio di restare precari a vita” mentre Domenico Milazzo, segretario regionale della Cisl Sicilia, ha posto l’attenzione sulla necessità di attrarre investimenti e sbloccare le opere pubbliche. “La disoccupazione giovanile è al 52%, abbiamo perso molte occasioni, soprattutto sul tema dei vantaggi fiscali per la Sicilia”.

Nino Salerno di Confindustria Palermo e Luca Silvestrini, presidente Confindustria Giovani Palermo, hanno parlato di fare rete: “La collaborazione tra Università e piccole e medie aziende può dare impulso all’occupazione dei giovani, magari favorendo le imprese straniere a trasferire in Sicilia il proprio lavoro. Un fenomeno che già è presente e su cui Confindustria punta molto”.