Una conferenza delle Città Metropolitane sotto l’egida delle Nazioni Unite da tenere a Palermo per affrontare i temi della sicurezza, della violenza di strada e giovanile e i grandi temi di tutte le grandi città. Palermo diventa capitale ONU per queste azioni. Ad anticipare a BlogSicilia quel che si sta organizzando è il Vice Presidente della Camera dei deputati Giorgio Mulè ospite di Talk Sicilia, la trasmissione di approfondimento del nostro giornale.

Con il sindaco Lagalla il vice Presidente della Camera sta organizzando l’evento guida insieme all’ONU ma si prepara anche una novità per l’accesso gratuito e a vita alle cure per i palermitani che non possono permetterselo. Un’altra attività, questa, che arriverà a luglio, molto prima della conferenza ONU.

E, in tema di sanità, Mulè sostiene che lo scandalo dei referti istologici a Trapani non è ancora una vicenda chiusa.

La lotta alla mafia, le commemorazioni e le polemiche

Ma la nostra chiacchierata con il Vice Presidente della Camera collegato da Roma parte dalla recentissima commemorazione della strage di Capaci che è diventata l’ennesimo terreno di scontro “Ma guarda, quando il 23 maggio nell’aula della Camera presiedevo la seduta, ho voluto ricordare questa ricorrenza ed ho pensato proprio al fatto che quando il fronte dell’antimafia è disunito, presta il fianco a chi vuole far del male allo Stato. Più è disunito il fronte antimafia, più si coalizza il fronte dell’illegalità. La mafia non è sconfitta e sarebbe stupido pensare che lo sia. Ha cambiato pelle. Non è più la mafia di trent’anni fa e neanche quella di dieci anni fa. È una mafia che si sente poco, si vede ancora meno e che però è attiva con gli strumenti nuovi. Pensiamo agli strumenti finanziari, all’uso, come dire di collegamenti transnazionali, alla capacità di infiltrarsi ancora sia nell’apparato pubblico quindi negli appalti de in tutto quello che gira intorno a ogni cosa in cui c’è del denaro da prendere. Il fronte antimafia in questo si deve rivedere. Lo dico anche dal punto investigativo, deve riaggiornare le sue tecniche. Alcuni strumenti pensati da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono strumenti che devono fare il tagliando con i tempi. Parlo soprattutto della capacità di capire il fenomeno aggiornato della mafia al XXI secolo, cioè un secolo che pretende conoscenze tecnico investigative diverse da quelle immaginate trent’anni fa”.

“Non è vinta la mafia però nessuno di noi si è dato mai per vinto e soprattutto la reazione continua, incessante di questo presidio di legalità che alberga soprattutto, prima di tutto nelle nostre coscienze, ci fa dire che la strada è quella giusta. Dopodiché le polemiche sempre ci sono state e ahimè, sempre ci saranno, ma certamente non fanno bene.

La riforma della magistratura

“Secondo me c’è tanta strumentalizzazione, poca informazione e parecchia disinformazione sul tema delle riforme che riguardano la giustizia. Hai citato alcuni provvedimenti. Cominciamo col dire che, ad esempio, la riforma della custodia cautelare non incide in nulla sul reato di 416 bis, cioè coloro che sono indagati per questo tipo di reato proseguono esattamente come era prima. La riforma che riguarda ad esempio la necessità di ascoltare le ragioni di un cittadino che è indagato e per il quale un pubblico ministero ha chiesto la custodia cautelare, poi, si applica solo a reati che nulla hanno a che fare con la mafia ma soprattutto quando non c’è il pericolo di fuga e l’interrogatorio si può fare prima dell’eventuale emissione della misura di custodia cautelare. Quando il rischio c’è si fa il provvedimento di fermo e non si fa l’interrogatorio preventivo. Il soggetto viene fermato esattamente come era prima. Il regime delle intercettazioni: anche qui nulla c’entra con tutti i reati che hanno a che fare con la mafia e con i reati che sono comunque legati a Cosa nostra, alle famiglie mafiose”.

La contestata legge Cartabia

“Per quanto riguarda invece il divieto di pubblicazione degli atti, anche qui si tratta di una norma che non prevede nessuna tagliola rispetto alla necessità di informare, ma è una norma di civiltà molto semplice, cioè dice che è vietato riprodurre in maniera integrale gli atti fino a quando non c’è il rinvio a giudizio. Quando c’è un rinvio a giudizio si dà pubblicazione integrale di tutti gli atti. Questo perché sappiamo che tante, tantissime volte questi atti provengono in massima parte dall’accusa. E quando poi nei settimane, nei mesi o negli anni successivi si scopre invece che quella realtà descritta dall’accusa sulla base degli elementi raccolti è totalmente diversa e addirittura porta all’innocenza e alla assoluzione dei soggetti. Ci rendiamo conto di avere consumato dei reati a mezzo stampa che non sono da codice penale, ma che attengono la vita delle persone, che hanno rovinato la reputazione di una persona e segnano la fine della vita delle persone. Ecco, a questo abbiamo posto un argine ed è giusto andare avanti”.

La separazione delle carriere

“Ultima notazione sulla separazione delle carriere che appartiene esattamente a un principio di civiltà giuridica e cioè l’arbitro, il giudice che deve essere a capo di un processo non può in nessun modo sembrare che indossi la maglia di uno dei due contendenti in questo caso dell’accusa. Le due carriere devono essere totalmente separate: quella del magistrato che accusa e quella che del magistrato che giudica. Come dice la nostra Costituzione, il giudice deve essere indipendente ma anche terzo e imparziale e per essere terzo e imparziale deve avere una cultura della giurisdizione che è totalmente diversa da chi, per mestiere, indossa l’abito di chi deve accusare”.

La violenza di strada e giovanile, la strage di Monreale

A parte le questioni di mafia c’è una grande allarme sociale, però  che riguarda la violenza di strada, soprattutto quella giovanile. I parenti delle vittime della tremenda strage di Monreale denunciano l’assenza dello Stato

“Lo Stato c’è, ma deve soltanto essere più presente. Nel senso che non dare soltanto la percezione di esserci, ma dimostrare di esserci. Vedi, purtroppo  avete raccontato anche voi a Palermo di aggressioni intorno alla stazione centrale, nella centralissima via Roma, di altre aggressioni totalmente gratuite che nulla hanno a che vedere con un regime, diciamo di civiltà. I genitori, i fratelli, le sorelle delle vittime di Monreale che ho ricevuto, intanto hanno fatto un grande passo verso l’istituzione. Come sai non avevano incontrato nessuno. Hanno voluto incontrare me e ne sono stato ben felice. E ci siamo dati degli appuntamenti precisi. Il primo garantire che l’azione incessante delle forze dell’ordine, non solo sullo Zen, ma anche negli altri quartieri a rischio che sono ahimè permeati come dire da grande infiltrazione prima che criminale di tipo culturale, di devianza culturale. Quindi garantire la sicurezza. In questo sia con il prefetto che con il questore e con il comandante dei carabinieri abbiamo concordato di continuare le attività che stanno facendo. E’ una egregia azione di presenza dello Stato per garantire ai cittadini di Monreale che possano serenamente andare in giro. Purtroppo quello che accade oggi che sia i parenti delle vittime che ho incontrato che anche molti altri mi hanno raccontato è che a Palermo, una parte della città ovviamente, c’è una sorta di respingimento per chi arriva da Monreale il che è inaccettabile. Il continuo invio di messaggi di morte, l’escalation di messaggi di minaccia ai parenti delle vittime di Monreale, tutto questo ci descrive una situazione che riguarda Palermo e le difficoltà  con le quali è alle prese la città”.

Da Palermo la carta ONU con il decalogo contro la violenza di strada e giovanile

“Pensiamo soltanto alla deriva che hanno preso gli stupefacenti: il crack.  La situazione pretende che ci si fermi a ragionare non su provvedimenti soltanto di tipo repressivo. Le forze dell’ordine, la magistratura, fanno un lavoro sacrosanto ma quello di cui stiamo discutendo oggi ad esempio col sindaco di Palermo è una visione che faccia di Palermo a livello mondiale un esempio su cosa stiamo ragionando”.

“Insomma, con il sindaco Lagalla stiamo lavorando per dar vita, da qui ad un anno, sotto l’egida della Nazioni Unite, ad una conferenza internazionale delle città metropolitane. Nella conferenza ONU delle Città Metropolitane si darebbe vita al decalogo di quel che non va e di quel che va fatto. Parleremo non solo di criminalità, non solo di devianza ma anche di dispersione nel frequentare le scuole e di accesso alle cure in sanità. Dovrà essere una conferenza che metta in campo gli strumenti necessari per far fronte a tutto questo. Quindi parliamo di finanziamenti e di tutte le azioni necessarie che, sotto l’egida delle Nazioni Unite, devono trovare concretezza”.

Il decreto Caivano bis, ne seguirà un ter

Anche Palermo si deve impegnare in questo senso. Un passo lo abbiamo fatto da Roma, inserendo Borgo Nuovo tra i sette quartieri in Italia che come Caivano, conoscerà una stagione di rilancio. Però già su questo io ho fatto inserire Brancaccio come il prossimo quartiere che, come Caivano e come Borgonuovo, dovrà conoscere una nuova stagione urbanistica, una nuova stagione di ripopolamento “diciamo intelligente” di quelle aree che sono molte volte invece lasciate al loro destino”.

“Io penso che di qui a poco gli atti saranno concreti nel frattempo bisogna assistere ad esempio queste famiglie delle vittime di Monreale che vanno prese per mano e soprattutto fare in modo che possano avere un minimo di protezione anche di tipo economico, cioè avere la garanzia che chi è rimasto senza un figlio, senza un fratello possa comunque andare avanti in una vita normale, anche di tipo lavorativo, di tipo professionale”.

Una dissociazione fra social e realtà

“Il problema è la condizione di giovani spesso senza differenze fra abbienti e meno abbienti. C’è una scollamento rispetto a quello che è la vita reale. Cioè c’è una sorta di dissociazione tra ciò che noi pensiamo sia reale e ciò che questi giovani provano, percepiscono. La riprova, scusate il gioco di parole, la troviamo nell’uso smodato che si ha dei telefonini e dei social. Cioè non è più vero ciò che si vede, è vero ciò che io faccio vedere. Tutto è “dimostrare” cioè l’esposizione, la spettacolarizzazione delle proprie azioni che devono essere sempre più portate verso l’alto, devono sempre più sorprendere”.

“Questo ha portato una generazione, ahimè, ad essere pericolosissima perché anche chi dall’età di 10 o 15 anni, si tende a mutuare questo effetto emulazione di comportamenti che sono totalmente al di fuori del normale vivere civile”.

“E’ su quella fetta di popolazione, cioè tra i dieci e i vent’anni, che noi dobbiamo agire adesso con modelli culturali che mettano totalmente all’indice gli episodi di devianza. Se non lo facciamo avremo, come abbiamo già adesso, un enorme problema. Bisogna capire con quale tipo di mondo vivono questi ragazzi che poi stanno bene, sono figli di famiglie perbene ma improvvisamente scopriamo che hanno anche la capacità di uccidere senza rendersi conto delle azioni e delle conseguenze cui vanno incontro”.

“La scuola, la famiglia sono i primi presidi sui quali bisogna lavorare rispetto a questo isolamento che colpisce sempre più giovani soprattutto nelle città grandi e nei quartieri che sono diventati delle città delle città”.

L’emergenza crack e il clima di intimidazione

“Si respira un clima pessimo e pestilenziale rispetto forse a quella che è stata una sottovalutazione troppo a lungo di quel problema del fiume di crack, del fiume di anfetamina che nel frattempo ha invaso, corroso e corrotto interi quartieri e intere zone di Palermo. Quel fenomeno è stato inutilmente sottovalutato. Si è pensato di poterlo controllare. Così non era. Quando ci siamo resi conto, abbiamo alzato la testa, abbiamo capito di avere davanti una tragedia di tipo umanitario”.

“La legge della Regione va benissimo perché è un segnale importante. Ovviamente non basta. E quella Carta delle Nazioni Unite di cui ti parlavo prima va esattamente nella direzione di intervenire in quei quartieri con azioni mirate. Ripeto che non sono solo di tipo repressivo: vanno “ripuliti” ed è la cosa essenziale. Parlo di ripulire in senso lato. Ovviamente però la lotta alle mafie, al racket, ancora una volta comincia nelle scuole”.

“Bisogna andare nella direzione della consapevolezza. La dove nel famoso Decreto Caivano viene inserito il ricorso a pene carcerarie  nei confronti dei genitori che non mandano i figli a scuola, si cammina esattamente nella direzione di responsabilizzare i genitori che troppo spesso si voltano dall’altra parte. Ma insieme a questo c’è bisogno di un’azione di tipo anche psicologico, di accompagnamento di questi ragazzi. Ripeto parliamo di progetti enormi ma che devono partire. O li avviamo adesso o noi continueremo a perdere porzioni di territorio e porzioni di popolazione che nel frattempo si abbandonano al crack, all’eroina, alla cocaina, a tutto ciò che come dire li fa illudere di poter vivere un mondo diverso”.

A luglio a Palermo un progetto pilota per l’accesso gratuito alle cure

“Io approfitto di questo spazio per dare un annuncio che sarà concreto all’inizio di luglio e che riguarda i cosiddetti vulnerabili, cioè i soggetti che, come dicevi tu, non hanno accesso alle cure o perché hanno pochi soldi o perché certe cure sono complicate. All’inizio di luglio a Palermo daremo vita a un progetto che non voglio bruciare dicendo troppo su ciò che annunceremo ma va esattamente nell’assistenza a vita gratuita per soggetti vulnerabili che sono affetti da alcune patologie particolari. È un accordo che sono riuscito a fare con una multinazionale mondiale della farmaceutica che assicurerà a tutti i cittadini palermitani vulnerabili accesso alle cure e medicine gratis per alcune patologie. E’ una cosa di cui dovremo andare tutti fieri perché daremo quel ristoro che va dato”.

“Per quel che riguarda chi è rimasto indietro a causa della faccenda delle liste d’attesa, un a vicenda nella sua drammaticità abbastanza semplice, tutto dipende dalla capacità delle Regioni. In questo la Regione Siciliana diciamo non è indietro nell’incrociare i dati fra pubblico e privato. Si sta lavorando per fare in modo che le liste d’attesa si accorcino, ma questa è solo una parte del problema. Poi ci sono le degenerazioni come quella di Trapani: io non ho gioito e non gioisco delle dimissioni. Ho sollevato il caso e guai se non l’avessi fatto. Non guardando alla convenienza o la provenienza politica di chi occupava quel posto in quel momento ho visto, come dire, l’enormità di una vicenda che, devo dire la verità, la Regione Siciliana, non guardando la politica ma guardando alla coscienza e al dovere che tutti noi abbiamo di buona amministrazione, è andata dritta rispetto alla necessità di intervenire col bisturi”.

Lo scandalo referti istologici a Trapani, altre responsabilità da trovare

“Secondo me sì. Sicuramente sì. E vanno ricercate in chi, al di là del soggetto apicale ovvero del direttore generale che si è dimesso, anche nei reparti di anatomia patologica fra chi nel tempo non ha sollevato il problema. Non ha alzato il dito, non ha fatto scattare un allarme o magari ha disattivato quei sistemi di alert che avrebbero avvertito che c’era un numero crescente di referti che non venivano esitati”.

“Il mio pensiero, ancora una volta, va a chi in questo momento, e credimi purtroppo sono svariate decine di persone, è alle prese con tumori che si sono sviluppati per la mancanza di questi referti e che oggi sta eseguendo chemioterapia, radioterapia tra Palermo, Roma e Milano. A loro va tutta la mia totale e assoluta solidarietà perché vittime due volte di un sistema che ha fallito e bisogna avere il coraggio di chiamare le cose con il loro nome”.

La video intervista integrale