Il tribunale di sorveglianza di Roma ha respinto la richiesta del boss stragista Salvino Madonia, che da anni sconta al 41 bis una serie di condanne all’ergastolo, di incontrare in un colloquio riservato il Garante regionale per i detenuti del Lazio e dell’Umbria. La decisione conferma quanto stabilito dal magistrato di sorveglianza di Viterbo che aveva già negato il consenso al capomafia. Madonia ha impugnato il diniego davanti al tribunale, che gli ha dato torto.
Una decisione di segno opposto, che aveva destato molte preoccupazioni al Dap, era stata presa invece dal tribunale di sorveglianza di Perugia, che aveva consentito al Garante regionale di effettuare un colloquio riservato con un detenuto al carcere duro: il boss della camorra Umberto Onda. Dopo l’adesione dell’Italia alla Convenzione Onu del 2002, che prevede che ogni Stato abbia una figura istituzionale che possa effettuare colloqui riservati con i detenuti, nel 2013 il nostro Paese ha istituito il Garante nazionale a cui è stata riconosciuta questa prerogativa.
Ai garanti regionali, come ad altre figure quali ad esempio i sacerdoti e i parlamentari, la legge riconosce solo il diritto di far visita, ciascuno per specifiche finalità, ai carcerati. Visite di questo tipo non possono avvenire in forma riservata. Perciò l’istituto di pena di Spoleto aveva negato al Garante di Lazio e Umbria il permesso di incontro riservato con Onda, vedendosi però sconfessare dalla magistratura.
“A differenza di quanto accade per il Garante Nazionale, non esiste una legislazione statale che individui le minime caratteristiche e principi fondamentali in ordine alla nomina dei Garanti territoriali e ne disegni, sia pure in termini essenziali, lo status. Allo stato attuale della normativa qualsiasi Comune – quando non addirittura qualsiasi Municipio- può istituire un Garante per i detenuti e nominarne del tutto discrezionalmente il titolare, aprendogli l’accesso alle prerogative disegnate nell’ordinamento penitenziario, senza che necessariamente questo offra di per sé alcuna garanzia di autorevolezza concreta, di affidabilità e di indipendenza”, scrive il tribunale di sorveglianza di Roma nel rigettare l’autorizzazione e confermando i timori espressi dal Dap per il caso Onda.
“Non v’è dubbio che la funzione svolta dal Garante per i detenuti sia molto importante, terza ed istituzionale, ma la natura della funzione di per sé non dice nulla del suo spessore e del suo grado di effettiva indipendenza ed affidabilità: sono le modalità di scelta e le guarentigie in concreto assegnate a determinare il grado di affidabilità, professionalità ed indipendenza di un organo. – spiegano i magistrati – E su questo il legislatore statale non ha dettato alcuna indicazione, neppure minima”. “L’esperienza concreta e giudiziaria ci ha insegnato che la geografia delle infiltrazioni di mafia, camorra e ‘ndrangheta nel territorio nazionale e nelle amministrazioni locali – concludono – è oramai del tutto cambiata e soprattutto in continua evoluzione, così che la concreta distribuzione sul territorio nazionale della popolazione detenuta al regime del carcere duro non può essere l’architrave della tenuta del ragionamento che ridimensiona i rischi di contatti non sufficientemente affidabili e verificati. Se è facile presumere che in concreto tutti i Garanti, anche locali, siano personalmente all’altezza del ruolo delicato assegnatogli, deve prendersi atto che la disciplina in esame vigente non distingue né disegna la tipologia dei garanti territoriali, facendo di tutta l’erba un fascio, proprio perché il legislatore non ha avuto una visione d’insieme e non ha effettuato queste scelte in modo complessivamente consapevole”. “Né si può dire che la preoccupazione di contatti non sufficientemente ‘presidiati’ sia fuor di luogo o estranea agli interrogativi propri di un ordinamento costituzionalmente orientato. – concludono – Non si tratta di cedere a irrazionali preoccupazioni ‘securitarie’, ma di confrontarsi con l’impianto di una disciplina peculiare”.
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