Gli arrestati nell’operazione Crystal Tower dei carabinieri del comando provinciale di Palermo sono Lorenzo Di Maggio, 70 anni, Raffaele Di Maggio, 58 anni, Filippo Gambino, 55 anni, Giovanni Angelo Mannino, 69 anni, Ignazio Antonino Mannino, 64 anni, Francesco Puglisi, 55 anni, Natale Puglisi, 62 anni, Natale Puglisi, 55 anni, Calogero Badalamenti, 50.

Ai domiciliari è finito Calogero Caruso, 84 anni.

I carabinieri del comando provinciale di Palermo hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare del gip nei confronti di 11 persone accusate a vario titolo di associazione di tipo mafioso, detenzione di stupefacenti, favoreggiamento personale e tentata estorsione con l’aggravante del metodo mafioso.

Sarebbero tutti componenti della famiglia mafiosa di Torretta, comune in provincia di Palermo, da sempre con solidi legami con la mafia newyorkese. Le indagini coordinate dalla Dda hanno portato 9 persone in carcere, uno agli arresti domiciliari e uno con obbligo di dimora nel comune di residenza.

Il ritorno degli scappati

Al centro dell’indagine condotta dal nucleo investigativo dei carabinieri e coordinata da un pool di magistrati diretti dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca, c’è il mandamento di Passo di Rigano, e la famiglia mafiosa di Torretta, un piccolo borgo con poco più di 4.000 abitanti nell’hinterland palermitano, da sempre roccaforte mafiosa che in passato ha garantito il rientro in Italia dei cosiddetti “scappati”, rappresentati dalla fazione sconfitta dai corleonesi di Totò Riina al termine della seconda guerra di mafia.

Conflittualità nella famiglia di Torretta

Le indagini hanno fatto emergere una forte conflittualità, non cruenta, all’interno dello stessa famiglia dove avrebbero un ruolo di rilievo Raffaele Di Maggio, figlio dello storico esponente mafioso Giuseppe Di Maggio detto “Piddu i Raffaele”, deceduto nel gennaio 2019, al vertice della famiglia mafiosa torrettese coadiuvato da Ignazio Antonino Mannino , anch’egli con funzione direttiva e organizzativa, Calogero Badalamenti cui è stata affidata l’area di Bellolampo, Lorenzo Di Maggio, detto “Lorenzino” scarcerato nell’agosto del 2017 e sottoposto alla misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di Carini, Calogero Caruso, detto Merendino, ritenuto una figura di vertice, sotto il quale si andava accreditando il nipote Filippo Gambino, Calogero Christian Zito, che faceva la spola tra l’isola e gli Usa. Le attività indagine hanno interessato anche due fratelli imprenditori edili di Torretta che avrebbero avuto un ruolo nel mantenere i rapporti con i boss americani.

Le attività economiche della famiglia

I carabinieri nel corso delle indagini hanno documentato il legame con esponenti di spicco di “cosa nostra” statunitense capace di condizionare, attraverso propri emissari, gli assetti criminali torrettesi e di registrare tensioni in occasione dell’omicidio del mafioso newyorkese Frank Calì, esponente di spicco della famiglia “Gambino” di New York. L’organizzazione si sarebbe inserita nel tessuto economico, tra edilizia, agricoltura e allevamento di bestiame avendo un ruolo nelle compravendite di animali e dei terreni.

La famiglia e la politica

L’organizzazione avrebbe controllato le commesse pubbliche e private non solo a Torretta, dove sarebbe riuscita ad infiltrarsi nella locale amministrazione prima influenzando e modificando l’esito delle elezioni comunali del 2018, fino allo scioglimento del Comune 7 agosto del 2019, ma anche e nei comuni limitrofi di Capaci, Isola delle Femmine e Carini, oltre che in alcuni quartieri di Palermo che hanno capo al mandamento di Passo di Rigano.

I summit

I carabinieri hanno ricostruito i numerosi incontri riservati organizzati nelle zone rurali tra gli affiliati del sodalizio ed in particolare un summit avvenuto la sera del 21 novembre 2018 in casa di Raffaele Di Maggio tra le figure di vertice della famiglia mafiosa torrettese. Alla riunione prendevano parte anche , Ignazio Antonino Mannino, Calogero Badalamenti e il padre di Calogero Christian Zito, su cui pende un mandato di cattura.

La missione in Sicilia di emissario di Cosa Nostra americana

Alla fine del mese di settembre del 2018 un emissario di Cosa nostra americana è stato accolto dai vertici della famiglia mafiosa di Torretta. La permanenza dell’uomo nell’area torrettese veniva garantita, tra gli altri, dai due fratelli imprenditori che, dividendosi i ruoli, ne curavano il prelevamento in aeroporto e ne garantivano il soggiorno in una lussuosa villa con piscina di Mondello, dove veniva fatto dono di alcuni grammi di cocaina in segno di benvenuto. Nel periodo trascorso sull’isola, l’emissario partecipava ad una riunione nell’abitazione di Raffaele Di Maggio, il 3 ottobre 2018 a Torretta e un secondo incontro nel comune di Baucina (Pa).

Le tensioni dopo l’omicidio di Frank Calì

Sono state registrate tensioni all’indomani dell’omicidio del mafioso americano Frank Calì detto “Franky Boy”, avvenuto a Staten Island (New York) la sera del 13 marzo 2019. Nei giorni successivi, si registrava la partenza per gli Stati Uniti del figlio di uno degli indagati, che, durante la sua permanenza a New York, incontrava diverse persone che appartenere alla locale organizzazione mafiosa, fra cui proprio l’emissario arrivato a Torretta nel settembre 2018. Rientrato dal viaggio, il giovane riferiva il clima di profonda tensione creatosi sulla sponda americana, esprimendo le proprie valutazioni sulla possibile successione di Calì alla guida della compagine mafiosa americana. A Torretta si registravano i commenti “di prima mano” di alcuni degli indagati che conoscevano personalmente Frank Calì e che, in un primo momento, avevano temuto che l’episodio potesse provocare una pericolosa escalation di violenze nella quale rischiavano di rimanere direttamente coinvolti anche altri soggetti a lui vicini.

I pizzini per Matteo Messina Denari passano da Torretta

I pizzini per Matteo Messina Denaro passavano da Torretta. Il ruolo di raccoglitore dei messaggi lo avrebbe svolto Lorenzo Di Maggio, detto “Lorenzino”, tornato in libertà nel 2017. E’ il pentito Antonino Pipitone che lo accusa di essere stato il postino dei messaggi per il capomafia di Castelvetrano. “Gran parte dei pizzini sia della provincia che dei mandamenti di Palermo che dovevano arrivare al superlatitante arrivavano sempre a lui”, ha spiegato il collaboratore di giustizia. “I biglietti gli venivano consegnati o presso la sede dell’Amat, l’azienda dei trasporti pubblici di Palermo, dove lavorava come impiegato, oppure a casa della madre”. Pipitone ha svelato che i pizzini venivano poi consegnati da Di Maggio a Calogero Caruso, “il quale a sua volta li consegnava a Campobello di Mazara, utilizzando l’auto del Comune di Torretta dove Caruso all’epoca lavorava”.

Imprenditori si rivolgono agli uomini d’onore per le controversie

Per risolvere le dispute gli imprenditori e i proprietari terrieri si rivolgevano agli uomini d’onore. I due fratelli imprenditori edili hanno subito il danneggiamento di un automezzo. Contro quell’intimidazione interpretata come un segnale del proprio mancato allineamento alla fazione mafiosa predominante, nel corso delle indagini vennero registrati propositi di vendetta e il tentativo di estorsione ai danni di un cugino. I carabinieri hanno ricostruito un altro episodio che vede protagonisti i due imprenditori. Per una disputa con un altro compaesano, sui confini delle rispettive tenute agricole di Piano dell’Occhio, i due fratelli chiesero l’aiuto di Raffaele Di Maggio per risolvere la controversia. Gli investigatori avrebbero accertato che anche la controparte chiese la protezione di Giovanni Angelo Mannino, ritenuto anche lui un esponente della famiglia di Torretta.

Imprenditore si ribella e collabora

I militari nel corso delle indagini hanno registrato una ripresa dell’attività della famiglia di Torretta che si avvaleva per mantenere il predominio della forza delle intimidazione e la richiesta di denaro. Tra questi episodi emerge un tentativo di estorsione con diversi atti intimidatori, consistiti in piccoli furti e danneggiamenti, perpetrati ai danni di un imprenditore agricolo palermitano, inseritosi nella zona torrettese e subito avvicinato dalla famiglia, che, sin da subito, ha mostrato la propria collaborazione, denunciando le pressioni subite.

Le indagini restituiscono una rinnovata vitalità della famiglia mafiosa di Torretta che, forte dei suoi legami con gli affiliati americani e della ritrovata autorevolezza dei vertici del mandamento, puntava a ritornare ai fasti del passato, ergendosi nuovamente a testa di ponte fra le due anime di cosa nostra, quella siciliana e quella d’oltremare, da sempre costituenti due facce di una stessa medaglia.

Generale Arturo Guarino, liberiamo territori dalla cappa mafiosa

“L’indagine dimostra la persistenza di intense relazioni tra i mafiosi italiani e quelli italo-americana, un legame che costituisce una chiave di lettura del fenomeno criminale che attraversa generazioni e resta un elemento di reciproca forza identitaria ed influenza operativa. Ma ancora una volta anche questa operazione svela una penetrazione opprimente nel tessuto economico della comunità e un inquinamento delle istituzioni locali. I carabinieri cercano  con le indagini di liberare e di dare dignità ad una comunità che troppe volte e per troppo tempo è stata sotto una pressione di una cappa insopportabile da parte della mafia”. E’ quanto dice il generale Arturo Guarino, il comandante provinciale dei carabinieri di Palermo in merito all’operazione Crystal Tower che ha portato in carcere 10 persone nel territorio di Torretta.

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