Ventotto comuni in dissesto o, usando una parola più in voga, in default. Ventotto solo in Sicilia a fronte di 126 in tutto il Paese. Insomma più del 20% dei problemi finanziari dei Comuni siciliani risiede in Sicilia, circa il doppio di quello che ci si potrebbe aspettare visto che la Sicilia naviga intorno al 10% della popolazione Paese.

I dati sono stati resi noti dal Viminale e dal Mef nei giorni scorsi. Così si scopre che dopo Catania, salvata per il momento dal Milleproroghe insieme a Napoli (ma solo fino alla prossima primavera, poi si vedrà) ci sono situazioni molto più complesse per comuni che non balzano agli onori delle cronache nazionali perché non sono grandi bacini. Comuni che vivono il loro default senza paracadute.

L’elenco è lungo e preoccupante: Aragona, Casteltermini, Favara e Porto Empedocle nell’Agrigentino con quest’ultimo comune certamente non piccolo e in passato amministrato dall’attuale sindaco del capoluogo Agrigento Lillo Firetto. Poi ci sono Sommatino e Mussomeli in provincia di Caltanissetta, Barrafranca e Brolo nell’Ennese.

Catania anche se ha salvato, per il momento, il capoluogo denuncia default a Giarre, Mirabella Imbaccari, Palagonia, Scordia e Vizzini. Nel Ragusano naviga in cattive acque Acate, nella vicina provincia di Siracusa comuni importanti come Augusta e Lentini oltre a Cassaro.

Messina, la provincia più grande, vede in difficoltà economiche Barrafranca, Brolo, Mazzarrà Sant’Andrea, Milazzo, Scaletta Zanclea e Tortorici. E si arriva nel Palermitano dove la situazione è tutt’altro che felice visto che in difficoltà ci sono anche comuni turistici importanti come Cefalù e Monreale oltre Bolognetta, Borgetto, Carini, Casteldaccia e Cerda: ben 7 comuni.

E il capoluogo siciliano, Palermo, come sta? Non bene di certo nonostante negli ultimi anni il sindaco Orlando ci abbia raccontato di conti risanati. La bocciatura del bilancio da parte dei revisori dei conti ha fatto esplodere la rabbia orlandiana perché adesso c’è il rischio che anche Palermo segua la sorte di Catania visto che la Corte dei Conti  ha già chiesto chiarimenti e quelli ottenuti non sembrano aver soddisfatto i magistrati contabili.

I revisori dei conti non vogliono saperne di cambiare idea e il Consiglio comunale, per la prima volta, non sembra intenzionato a chiudere tutte e due gli occhi soprattutto sul consolidato. Lo strumento introdotto dalla nuova disciplina della finanza pubblica, infatti, impone di tirar dentro il bilancio comunale anche i risultati delle partecipate ed è lì che risiede il problema. Le ex municipalizzate non sembrano avere i conti a posto. Amat, Reset e Rap in testa a tutte mostrano criticità. All’orizzonte ci sono due strade. l’aumento di tasse locali e servizi (dal biglietto del bus alla tassa sui rifiuti) o un nuovo contributo di solidarietà che però il Comune non sembra potersi permettere.

Lo stratagemma del fallimento pilotato è già stato utilizzato sia per Amia oggi Rap che per Gesip oggi Reset. E Orlando sembra stia valutando tutte le opzioni. Quelle del Comune di Palermo e quelle, perché no, personali. In tanti sceglierebbero di scappare dalla barca che affonda, cosa farà lui difficile a dirsi anche perché la exit strategy ipotizzata più di una anno fa che si chiamava candidatura alle europee non sembra più una strada percorribile visto che l’elettorato è cambiato e anche tanto.

In realtà esiste una terza via ma imprevedibile e ingovernabile: la controriforma della contabilità pubblica. A Roma ci stanno già pensando. La strada potrebbe essere quella del concordato. Insomma i Comuni non andrebbero più in default ma sarebbero autorizzati ad un concordato preventivo. In pratica, come evviene nel privato dalla riforma del fallimento in poi, fai debiti per 100 e quando non sei più in grado di pagare stringi accordi per pagare il 70, il 50 o anche il 30% del tuo debito a saldo e stralcio. I Comuni si salverebbero ma dopo qualche tempo quale azienda fornirà più il pubblico?