ll depistaggio delle indagini sulla strage di Via D’Amelio con le falsità dichiarate dai finti pentiti, “è una mostruosa costruzione calunniatrice che secondo me è una delle pagine più vergognose e tragiche” della nostra storia giudiziaria ed è “di una gravità tale da escludere qualunque circostanza attenuante” in favore degli imputati accusati di calunnia. Così il Pg della Cassazione, l’avvocato generale Pietro Gaeta, in un passaggio della sua requisitoria all’udienza del Borsellino quater apertasi nell’aula magna della Suprema Corte ha escluso qualunque tipo di sconto di pena per i quattro imputati del processo. Il verdetto definitivo è atteso nelle prossime ore.
Gaeta “Andriotta è la miccia di tutto”
Dunque, Gaeta – uomo di punta della Procura guidata da Giovanni Salvi, e al quale è stata affidata l’azione disciplinare del caso Palamara, l’affaire più delicato degli ultimi tempi – ha chiesto ai giudici della Quinta sezione penale, presieduti da Stefano Palla, di confermare le condanne all’ergastolo per i capomafia palermitani Salvatore Madonia e Vittorio Tutino, e quelle a dieci anni di reclusione ciascuno per i finti pentiti Francesco Andriotta e Calogero Pulci. “Andriotta è la miccia di tutto, l’inizio di un mostruoso disegno calunniatore”, ha detto Gaeta che ha trovato pienamente condivisibili le motivazioni della sentenza della Corte di assise di Appello di Caltanissetta emessa il 15 novembre 2019.
Ancora sconosciuti gli “inquirenti infedeli”
Rimane sullo sfondo, come ha ricordato il consigliere relatore Angelo Caputo, la mancata identificazione degli “inquirenti infedeli”, gli uomini dello Stato responsabili “dell’indottrinamento” dell’ex pentito Vincenzo Scarantino uscito dal processo con la prescrizione maturata in secondo grado a seguito dell’attenuante di aver raccontato falsità indotto da “suggeritori” esterni.
Scarantino non ha fatto ricorso in Cassazione
La sua difesa non ha fatto ricorso in Cassazione, dopo aver perso in appello la battaglia per ottenere il proscioglimento pieno. Presente in aula l’avvocato dello Stato Massimo Giannuzzi che rappresenta le istituzioni che si sono costituite nel Borsellino quater: tra le quali la Presidenza del Consiglio, i ministeri degli Interni e della Giustizia, Regione siciliana e Comune di Palermo, oltre ai familiari delle vittime.
Per i depistaggi nelle indagini, costellate da fatti gravissimi come la scomparsa delle agende di Borsellino, vennero condannate all’ergastolo sette persone, poi prosciolte nel processo di revisione. Nella strage morirono insieme al magistrato i suoi cinque ‘angeli custodi’: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli e Claudio Traina. Si salvò l’agente Antonio Vullo, unico superstite, che era da solo su una ‘volante’.
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