E’ iniziata in cassazione, nell’aula magna, l’udienza del processo Borsellino quater sulla strage di mafia di Via D’Amelio, nella quale il 19 luglio 1992 a Palermo morirono per l’esplosione di un’auto-bomba il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta. Al centro del dibattimento anche i veleni su depistaggi nelle indagini. Sono previsti alcuni giorni di dibattimento, dunque il verdetto non è atteso per oggi.

La requisitoria della Procura

I fatti risalgono ormai a quasi 30 anni fa. La Procura della cassazione ha affidato la sua requisitoria a Pietro Gaeta, il collegio è presieduto da Stefano Palla. Hanno fatto ricorso alla suprema corte contro la condanna all’ergastolo, decisa dalla Corte di Assise di Appello di Caltanissetta il 15 novembre 2019, i capomafia Salvo Madonia e Vittorio Tutino, oltre ai ‘falsi pentiti’ Francesco Andriotta e Calogero Pulci condannati a dieci anni di reclusione per calunnia. Non ha invece fatto ricorso agli ‘ermellini’ Vincenzo Scarantino, l’ex pentito che in appello ha ottenuto la prescrizione del reato di calunnia pluriaggravata per la concessione dell’ attenuante di essere stato indotto a dire falsità da “inquirenti infedeli”, quindi soggetti appartenenti allo Stato, rimasti non identificati. In appello la difesa di Scarantino aveva chiesto il totale proscioglimento.

Le istituzioni sostituite in giudizio

Presente in aula l’avvocato dello Stato Massimo Giannuzzi che rappresenta le istituzioni che si sono costituite nel Borsellino quater: tra le quali la Presidenza del Consiglio, ministero degli Interni e della giustizia, Regione siciliana e Comune di Palermo, oltre ad alcuni familiari delle vittime. Per i depistaggi nelle indagini, costellate da fatti gravissimi come la scomparsa delle agende di Borsellino, vennero condannate all’ergastolo sette persone, poi prosciolte nel processo di revisione.

Le falle della magistratura

Nel luglio scorso il presidente dell’antimafia regionale Claudio Fava ha illustrato i risultati dell’inchiesta sul depistaggio delle indagini di via D’Amelio ed il suo giudizio fu molto duro: “Ci si muoveva in un contesto molto corporativo. Molti interventi potevano essere fatti invece si scelse di marciare su binari paralleli assumendo, come fatto inoppugnabile, che si fossero esautorate le forze investigative deputate a fare le indagini, affidando tutto a un gruppo di investigatori messo su da La Barbera escludendo chi aveva risolto i più clamorosi delitti di mafia. Perchè nessuno lo ha fatto pesare?”.

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