Il tribunale del riesame di Palermo ha annullato il provvedimento cautelare emesso nei confronti di Massimo Mulè nell’ambito dell’operazione antimafia denominata Cupola 2.0. Dopo la sentenza della corte di cassazione, con la quale ha annullato con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Palermo, gli avvocati Giovanni Castronovo, Marco Clementi, Silvana Tortorici e Valentina Clementi, del presunto capo della famiglia di Ballarò si erano rivolti alla seconda sezione della corte d’appello per chiedere la scarcerazione del proprio assistito. I giudici di secondo grado, hanno respinto la richiesta.
Le dichiarazioni dei collaboratori sentiti nel processo di appello avrebbero reso necessarie le esigenze cautelari. I giudici del riesame invece, hanno sostenuto che alla luce della sentenza di assoluzione appellata non può trovare giustificazione l’applicazione della misura.
“Tra l’altro – spiegano gli avvocati – la corte di cassazione ha imposto di valutare l’attendibilità delle dichiarazione dei pentiti perché entrano i contrasto tra di loro”.
Massimo Mulè resta detenuto per la condanna definitiva riportata nel processo denominato “Buttafuori“, e per la misura cautelare nell’ambito dell’operazione antimafia denominata “Centro”.
Processo buttafuori, confermati i domiciliari per Catalano
La procura ha proposto appello al tribunale della libertà, chiedendo la custodia cautelare in carcere per Andrea Catalano, condannato al processo sui buttafuori imposti ai locali notturni di Palermo. I giudici avevano concesso i domiciliari. Adesso i giudici del riesame, hanno rigettano l’appello, confermando la misura degli arresti domiciliari. Come si ricorderà Andrea Catalano, pur essendo stato condannato alla pena di 8 anni nell’ambito del procedimento denominato “Buttafuori”, aveva ottenuto l’attenuazione della misura cautelare con quella degli arresti domiciliari.
I pubblici ministeri Gaspare Spedale e Giorgia Spiri hanno però proposto appello contro avverso il provvedimento, sostenendo l’attualità della pericolosità sociale del Catalano, nonché l’alto rischio di reiterazione di reati della stessa specie. L’avvocato Giovanni Castronovo che difende Catalano, con una memoria, ha contestato l’appello alla luce del periodo di detenzione (4 anni) già scontato dal Catalano, soggetto allo stato incensurato, e che la vicenda che lo ha riguardato risale a ben 6 anni fa. Non solo i locali in questione (il Reloy, il Moro e Villa Panoramica) sono oramai chiusi da tempo, ragion per cui sarebbe oggettivamente impossibile reiterare analoghe condotte delittuose.
Il Tribunale della Libertà, presieduto da Antonella Pappalardo, in accoglimento della tesi difensiva, ha rigettato l’appello proposto dalla pubblica accusa, confermando nei confronti di Andrea Catalano la misura degli arresti domiciliari.
Il processo, condanne e assoluzioni
La Procura aveva chiesto oltre un secolo di carcere per i 10 imputati di questo processo. Nettamente ridimensionate le pene applicate. La pena più alta per l’appunto è spettata ad Andrea Catalano a cui sono stati inflitti 8 anni; 7 anni e mezzo invece per Emanuele Cannata, due mesi in meno per Gaspare Ribaudo. Figurano poi Cosimo Calì, 5 anni, Davide Robaudo, un anno, e Francesco Fazio, 8 mesi. Assolti invece da ogni accusa Giovanni Catalano, fratello di Andrea, Ferdinando Davì, Emanuele Rughoo Tejo e Antonino Ribaudo. La Procura di Palermo per tutti e 10 gli imputati aveva chiesto pene comprese tra 9 anni e sei mesi e 12 anni.
Su cosa si imperniava l’inchiesta
L’inchiesta parlava di una organizzazione criminale che imponeva, con minacce e violenza, personale della security in importanti locali a Palermo e provincia e in manifestazioni nei comuni. Dietro alla banda, che intimidiva i proprietari dei locali provocando anche risse che cessavano quando venivano assunti i buttafuori voluti dagli indagati, ci sarebbe stata Cosa nostra. In particolare Massimo Mulè, già processato e condannato in abbreviato. Gli imputati erano accusati a vario titolo di estorsione aggravata dal metodo mafioso.
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