Riorganizzazione dei Punti Nascita in Sicilia. Lo chiede il sindacato dei Medici Italiani-Smi che ha organizzato oggi un convegno a Lentini Lo Smi denuncia che “a distanza di un anno dal rapporto del Ministero della Salute che indicava le 13 strutture che non raggiungevano i requisiti minimi per continuare ad operare, il 50% sono ancora aperte, per chiara responsabilità della Regione e per evidenti calcoli elettoralistici”.
La segretaria regionale dello Smi, sottolinea come “questi Punti abbiano in media 300 parti l’anno, mentre gli standard nazionali ne richiedono almeno 500, con dei costi di circa 4 milioni di euro per punto nascita, per un totale stimato complessivo di spesa di quasi 30 milioni”. Per lo Smi: “uno spreco che dovrebbe essere evitato, al fine reinvestire e destinare le risorse pubbliche al potenziamento della presenza di personale medico qualificato, e formato ad hoc, dell’emergenza-urgenza e per riorganizzare sul territorio i Punti nascita con requisiti di qualità e di efficienza. A partire dalla necessita di prevedere, per esempio, delle Unità di terapia sub-intensiva anche nelle strutture minori, per eventuali parti prematuri”.
In Sicilia, rileva il Sindacato, “nonostante i piani di rientro e i tagli, grazie al lavoro enorme dei medici (motivati, nonostante l’assedio dei rischi da denunce per responsabilità professionale) si sono raggiunti grandi risultati: si è abbassata la mortalità infantile, allineandosi così alla media nazionale, e sono diminuiti i cesarei”. Per queste ragioni, mette in evidenza lo Smi, risulta assurdo che “per non scontentare qualche elettore, si continuino a tenere aperte realtà, che oltre ad essere costose rischiano di essere anche insicure”.
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