Gli studenti del Collettivo universitario autonomo di Palermo continuano a contestare, come già fatto nei giorni scorsi, la presenza del premier Renzi all’inaugurazione dell’anno accademico che si svolgerà oggi al Teatro Massimo. In una lunga nota spiegano i motivi del loro disappunto. Ecco cosa scrivono:

Le macerie non si inaugurano. Si spazzano via. Chiunque oggi si trova a vivere il mondo della formazione pubblica, scuola o università che sia, sa perfettamente quanto in miseria si trovi oggi l’intero sistema. Non lo nega davvero nessuno; o quasi. Certo, pochi di questi poi si mobilitano per migliorare le cose; o anche soltanto per alzare voci critiche. Questione di convenienza: lavorativa, economica, politica.

Per fortuna di questo paese, però, gli studenti, attraverso le loro mobilitazioni e lotte, hanno permesso in questi anni di accendere i fari su processi e volontà politiche che, di fatto, stanno distruggendo ogni parvenza di “pubblicità” del sistema di istruzione da un lato, ogni residuo di “diritto allo studio” dall’altro.

Studenti delle scuole e universitari/e stanno, in sostanza, rappresentando quasi esclusivamente (insieme a pochi pezzi sani del mondo della docenza e della ricerca) l’ultimo baluardo sulla strada della definitiva privatizzazione di scuole e università; delle diseguaglianze sociali nell’accesso e nelle possibilità di studio; delle diseguaglianze territoriali tra nord e sud; dello sfruttamento gratuito delle capacità dei giovani di tutto il paese; dello svuotamento dei programmi di studi; della precarizzazione della ricerca e dell’insegnamento; insomma: chi più ne ha più ne metta!

Ma se in molti si mobilitano e lottano, in tanti stanno a guardare il misero spettacolo, c’è anche chi tutto questo lo nega senza alcuna remora né dignità. Costoro si autocelebrano come la nuova classe dirigente italiana; sostengono che sì la situazione è migliorabile ma esattamente proseguendo lungo questi stessi binari.

Come guidare verso un burrone e dire ai passeggeri che a breve inizierà una dolce discesa…Costoro rispondono ai nomi di Matteo Renzi, Stefania Giannini, Davide Faraone, Partito Democratico (in tutte le sue emanazioni anche giovanili nelle scuole e nelle università), Conferenza dei Rettori universitari italiani CRUI, Ministero dell’istruzione… tutta gente che senza alcuna remora, in barba al loro autodefinirsi “classe dirigente”, non possiamo che identificare come “complici”. Complici nello smantellamento dei diritto all’istruzione; complici nella trasformazione dei luoghi del “sapere” in luoghi del “profitto”; complici delle banche e dei loro interessi; di Berlusconi e della Gelmini; complici e quindi nemici!

Appare evidente come in questa complicità i colpevoli siano tanti e non da adesso. Governi di centro-destra, di centro-sinistra, ministri: negli ultimi vent’anni in tanti hanno messo mano (e allungato le mani) su un mondo che da istituzione pubblica di formazione è, pian piano, diventato un appetitoso ambito di profitto e guadagno. Da spazio dell’educazione di stato a spazio di mercato privato il passo non è stato poi così lungo. Dalla riforma Ruberti, a quelle della Gelmini, passando per Berlinguer e Moratti, è stato tolto di volta in volta un mattoncino ai pilastri fondanti dell’intero sistema fino a… le macerie dell’oggi.

Quando utilizziamo il termine “macerie” non lo facciamo per puro spirito allegorico e/o metaforico. La questione è più materiale di quanto possa apparire. Le macerie di oggi sono quelle reali degli edifici scolastici a rischio “crollo”; sono quelle degli istituti che non conoscono manutenzione e sicurezza; sono quelle delle facoltà che per mancanza di fondi non vedono da decenni interventi strutturali; sono quelle del Collegio San Rocco di Palermo, sede della facoltà di Scienze Politiche ormai crollato da più di tre anni e da allora mai restituito alla fruizione accademica e studentesca – i disagi sono enormi per gli studenti e l’incompetenza, la miseria politica di istituzioni accademiche e pubbliche è palese in una situazione paradossale come questa. I motivi di ciò li conosciamo tutti e sappiamo essere cronici.

Dietro la logica dell’autonomia finanziaria di scuole e atenei si è nascosta la volontà politica di definanziare il sistema pubblico e dunque anche le sue strutture. Le scuole conoscono interventi minimi nonostante le tragedie (terremoti) e i continui rischi e disagi: sono migliaia le scuole “ufficialmente” pericolanti. Sul fronte universitario invece, alla continua riduzione dei finanziamenti si accompagna la progressiva concentrazione di questi su quegli atenei considerati d’eccellenza, a discapito quindi delle università considerate non-meritevoli. Palermo è tra queste.

Ciò comporta non solo un abbassamento degli standard qualitativi dell’insegnamento dovuto ad una logistica sempre più precaria; ma a porsi come problematica nuova è proprio la mancanza di sicurezza per l’incolumità di chi quegli atenei li frequenta. Si noti che la risposta dell’attuale governo a queste problematiche si presenta vergognosa e arrogante. Da un lato il premier Renzi che, al posto di intervenire su questioni fondamentali come queste, preferisce annunciare la ripresa del progetto del Ponte sullo Stretto; dall’altro, il suo ministro dell’istruzione Stefania Giannini, che non si vergogna di annunciare dai palchi che per il suo governo, e dunque per lo stato, le scuole paritarie private hanno la stessa importanza e vanno trattate esattamente come quelle pubbliche, anche in termini economici. Cose che neanche il peggior Berlusconi avrebbe avuto mai il coraggio di pronunciare, eppure… Eppure il trend è ormai chiaro: privatizzare il mondo dell’istruzione, renderlo produttivo per i privati, trasformarlo da diritto inalienabile a privilegio per i ricchi.

Renzi sta così dando la mazzata finale! Dietro la logica della concentrazione della ricchezza su pochi poli d’eccellenza, infatti, si cela l’ennesimo intervento “distruttivo” di ogni principio di pubblica utilità e ogni connotazione di istruzione come “diritto sociale”. Per spiegare questo processo basti guardare le statistiche ufficiali sulle differenze territoriali legate a: flusso dei finanziamenti; flussi migratori; distribuzione dei fondi di ricerca; assunzioni e numeri di impiegati; costi d’accesso. Partiamo da un dato generale. In Italia, nel 2015, lo stato ha investito sull’università appena 7 miliardi (sono 26 quelli investiti in Germania, per esempio).

Di questi, come dicevamo, la maggior parte sono destinati a poli universitari del nord Italia. La continua riduzione del Fondo di Finanziamento delle università ha colpito inesorabilmente la maggior parte degli atenei meridionali. Restando ai dati su Palermo basti notare che nel giro di sette anni (2008-2015) il finanziamento per l’università del capoluogo siciliano si è ridotto del 30% arrivando ad appena 192 milioni nello scorso anno. Nello stesso arco di tempo, per esempio, il Politecnico di Milano ha perso “soltanto” il 6.2% di finanziamento ordinario. Questo si è tradotto per esempio in drastico crollo del numero degli impiegati al Mezzogiorno (legato ai cosiddetti “punti organico”) con una incredibile differenza rispetto alle università del nord: meno 280 punti al sud a fronte di un incremento di 341 al nord soltanto negli ultimi quattro anni. Stesso discorso vale se guardiamo ai fondi per la ricerca, in particolari ai noti progetti PRIN. Nell’ultimo settembre i progetti sono stati 300, i fondi stanziati 92 milioni.

Di questi il 45% è finito alle università del nord, il 30% al centro, appena il 20% al sud. Per rendere l’idea si guardi al numero di progetti approvati per Palermo: sono appena 4, 12 in tutta la Sicilia. Non è un caso così che negli ultimi quattro anni circa settecento ricercatori siano stati trasferiti “d’ufficio” verso atenei del nord Italia. Infine, per completare il quadro rispetto alle politiche direttamente ministeriali sull’università, vale la pena ricordare come, sempre dal 2011 al 2015, il contributo di funzionamento destinato alle regioni – enti preposti all’adempimento di politiche legate al “diritto allo studio” – sia sceso da 24 a 14 milioni.

Ciò ha drasticamente inciso sulle possibilità per gli enti regionali di erogare soprattutto le borse di studio e servizi collegati quali gli alloggi. Si verifica così che in Sicilia tre studenti su quattro non possono accedere alle borse di studio pur avendone diritto a fronte di una copertura a volte del 100% per alcune regioni settentrionali. Questa sfilza di dati ci consegna un quadro disastroso dell’attuale sistema universitario italiano: in termini sia di qualità (logistica, accademica, della ricerca, dei servizi) che di possibilità reale di accedere agli studi universitari. Le università italiane sono quindi sempre peggiori e sempre più classiste: se non sei ricco non ti meriti un’istruzione degna in strutture degne!

Eppure Renzi e il suo governo non lesinano l’utilizzo di retoriche e ipocrisie sull’emergenza demografica giovanile che riguarda il sud. Fanno dunque finta di non vedere come le loro stesse scelte di governo stiano drammaticamente peggiorando la situazione. Peccato che secondo i dati Censis, soltanto nell’anno 2014-15 più di ventitremila studenti meridionali abbiano deciso di andare a studiare in università del nord. Negli ultimi dieci anni le università meridionali hanno perso più di quarantacinquesima iscritti; con buona pace del rettore dell’Università di Palermo che con somma spocchia si rivendica un leggero aumento di iscritti presso il suo ateneo nell’ultimo anno. Come bloccarsi a guardare il dito che indica però la luna … stolti.

Insomma, se non proprio in maniera del tutto “ufficiale”, nella sostanza si è venuta a creare quella differenziazione tra università di serie A e università di serie B. Questa ricalca ovviamente anche localizzazioni geografiche che altro non fanno che aggravare le emergenze sociali dei territori meridionali di questo paese; Sicilia in primis. Chiunque lo neghi o è colluso o è disonesto. Questa purtroppo è la realtà.

Il rettore Micari, che sembra essere molto affine alla filosofia renziana del “va tutto bene, dobbiamo essere ottimisti”, non ha alcuna percezione dei bisogni e delle necessitàdegli studenti: in occasione del primo giorno dei test d’ingresso affermava che “è normale che gli studenti provino più di un test d’ingresso se vogliono essere certi di accedere all’università”. A noi viene da chiederci invece, è normale che fino all’anno scorso l’ateneo palermitano fosse l’unico con la totalità dei corsi a numero programmato? è normale che il costo dei test d’ingresso da noi sia tra i più alti in Italia? Sarà vero che le iscrizioni sono aumentate, resta il fatto, però, che a Palermo molti sono i giovani che non possono iscriversi all’università e altrettanti quelli che decidono di formarsi altrove. Come, insomma, dicevamo prima non è che frutto di certe politiche il fatto che, dati SVIMEZ, nel 2014 il 25% degli studenti meridionali abbia scelto atenei fuori dalla propria regione e che dal 2008 al 2012 ci sia stata una diminuzione del 19,7% degli studenti universitari al sud. E non è un caso che dal 2010 al 2015 gli iscritti a Palermo siano passati da 65mila a poco più di 40mila.

Ma le preoccupazioni del rettore sono altre. E’ preoccupato ad organizzare parte della campagna elettorale del Premier Renzi, capo di un governo responsabile dei processi di svuotamento dell’ateneo palermitano e della cancellazione del diritto allo studio, responsabile della distruzione del mondo del lavoro e del mondo della formazione. Alla faccia di chi continua a pagare il prezzo di queste politiche, Micari ha invitato il presidente del consiglio a inaugurare l’anno accademico palermitano con l’obiettivo di assicurargli l’ennesima passerella mediatica buona solo per i giornalai di potere.

Ma oggi a Palermo non verrà permesso a questi parassiti di prendere in giro chi vive l’università delle macerie abbellita di buoni propositi di facciata; o chi ogni giorno frequenta delle scuole trasformate in aziende dove si vuol far diventare l’alternanza scuola-lavoro pura e semplice abitudine alla precarietà. Oggi non ci saranno solo quei quattro “ruffiani di corte”(come abbiamo scritto nei manifesti raffiguranti il rettore affissi in questi giorni nel viale delle scienze)ad acclamare il padroncino di turno blindato sul palco di un teatro. Oggi scenderanno in piazza tutti gli studenti e le studentesse delle scuole e delle università che hanno deciso di dire “basta!”, pronti e determinati ad alzare la testa e a non subire più. Il vero palco, quello fatto di vita reale, problemi reali, lotte e alternative reali, sarà quello della piazza!

Articoli correlati