Dal 18 al 27 novembre al Teatro Massimo di Palermo ricci/forte, vincitori del Premio Abbiati 2018, propongono con la regia di Stefano Ricci La mano felice / Il castello del principe Barbablù, spettacolo che si apre con la Musica d’accompagnamento per una scena cinematografica op. 34 di Schönberg, cui seguono il breve atto unico “La mano felice sempre di Schönberg” e “Il castello del principe Barbablù” di Béla Bartók, in occasione del centenario dalla prima rappresentazione.
A dirigere l’Orchestra del Teatro Massimo sarà il direttore ungherese Gregory Vajda, al debutto in Italia, che dell’opera di Bartók è uno degli interpreti più affermati. In scena il basso Gabor Bretz, protagonista di entrambe le opere, e il mezzosoprano Atala Schöck, gli attori Giuseppe Sartori e Piersten Leirom, un gruppo di performers e il Coro del Teatro Massimo diretto da Piero Monti.
Ricci/forte scelgono come ambientazione per le due opere il circo con i suoi “orrori” e con i suoi eccessi, i suoi lustrini e la spinta all’inseguimento di sempre nuovi record, con le scene di Nicolas Bovey, i costumi di Gianluca Sbicca, le luci di Pasquale Mari e i movimenti curati da Marta Bevilacqua. Tema comune alle due opere è “un viaggio visionario verso la Notte, sulle capacità dell’Uomo di affrontare i fallimenti in relazione col mondo esterno e sul tentativo di porre fine alla sua solitudine. Un’esplorazione interiore in fondo all’anima in questa nostra epoca di massificazione della cultura, di organizzazione del consenso, di perdita di riferimenti esterni. Un horror in piena luce, una sottrazione di coscienza nel tentativo di affidarsi ciecamente al prestigio sociale e a un’altra persona per colmare il vuoto che ci abita. L’Uomo, creatura straordinaria ed enigmatica, tenta da millenni strategie di comunicazione con l’universo femminile, la Donna, ultima landa inespugnata da conquistare nell’approccio cognitivo”.
Il rapporto conflittuale tra uomo e donna è infatti il secondo punto di unione tra La mano felice e Il castello del principe Barbablù. Nell’atto unico di Schönberg si tratta dell’amore cieco e continuamente disilluso dell’uomo per la donna, come ammonisce il coro all’inizio e alla fine dell’opera.
Il castello del principe Barbablù, ispirato a un testo di Maeterlinck, riprende la fiaba classica moltiplicando le porte chiuse del castello, dietro le quali si nascondono i diversi aspetti della personalità dell’uomo; la volontà di Judit di scoprire ogni recesso porterà non all’accettazione, ma ad un ritorno alle tenebre iniziali. Per ricci/forte “Schönberg e Bartók palesano lo stesso enigma privo di risposte appropriate: dove affonda questa incapacità relazionale, questo attrito dettato da linguaggi differenti tra uomo e donna? E se è vero che l’universo uomo e l’universo donna sono interdipendenti, come lo Yin e lo Yang, pur non potendo coesistere l’uno senza l’altro, cosa resta alla fine del giorno dopo un viaggio di conoscenza speso lungo l’intera esistenza?».
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