Brilla la devozione dei palermitani, ha il colore dell’oro e dell’argento. Ed è finalmente riportata alla straordinaria magnificenza del passato. Dopo un restauro minuzioso sotto l’occhio attento della Soprintendenza, il Tesoro di Santa Rosalia è tornato in vita. Restituito alla città.
L’esposizione, nucleo fondante del nuovo museo di santa Rosalia nel santuario di Montepellegrino, sarà inaugurata venerdì 13 luglio, alle 18. Curatori scientifici sono Maria Concetta Di Natale, Maurizio Vitella e Salvatore Mercadante, il progetto museografico è della sovrintendente Lina Bellanca e la cura dell’allestimento di Santo Cillaroto. I pezzi sono stati restaurati da Gaetano Correnti e dal maestro argentiere Benedetto Gelardi.
La collezione, costituita principalmente da preziose suppellettili liturgiche e significativi ex-voto, giunge ai nostri giorni incompleta perché dispersa nel corso dei secoli. L’originaria ricchezza del Tesoro è tuttavia nota grazie agli inventari periodicamente redatti dalla Deputazione della Venerabile Grotta e Chiesa di Santa Rosalia.
“Il tesoro è documentato da dettagliatissimi inventari conservati all’archivio Diocesano, che un nostro dottorando di ricerca ha studiato con attenzione – spiega Maria Concetta Di Natale – alcuni pezzi li conoscevamo, ed erano stati già esposti in una mostra in cattedrale, oltre vent’anni fa. Siamo tornati a cercare e nel santuario abbiamo ritrovato pezzi straordinari: la famosa galea rovinata, i vasi a pezzi, ma conservati con grande amore”. Da qui l’idea di restaurare interamente tutte le opere, quelle esposte e quelle conservate, e dar nuova vita al tesoro. Che diventa il nucleo più antico del nuovo museo dedicato alla devozione per Santa Rosalia, che da venerdì sarà disponibile alle visite.
L’esposizione permanente del tesoro del Santuario di Santa Rosalia è una iniziativa promossa dal Comune e dalla Fondazione Sant’Elia nell’anno di Palermo Capitale Italiana della Cultura 2018. E’ un progetto comune che vede l’apporto dell’Arcidiocesi e del Santuario di Santa Rosalia, dell’Università – Dipartimento Culture e Società, dell’Osservatorio per le Arti decorative in Italia “Maria Accascina”, della Soprintendenza BB.CC.AA e dell’Opera Don Orione.
“Un regalo della città alla città. Un atto d’amore per la Santuzza ma certamente qualcosa che va oltre, ben oltre la devozione per la Santa – dice il sindaco Leoluca Orlando -. Perché Rosalia rappresenta l’anima vera e profonda di Palermo, l’anima della carità e della solidarietà, ma anche l’anima dell’impegno per la liberazione da ogni peste materiale e morale. Questo tesoro oggi riscoperto ci ricorda e rafforza il legame di Palermo con Rosalia”.
La realizzazione del museo contribuirà a dare nuovo impulso alla conoscenza del contesto culturale che, fin dagli inizi del XVII secolo, ruota attorno alla Santa eremita, restituendo ai palermitani ciò che è sopravvissuto di un grande segno di intensa devozione.
Impreziosiscono l’esposizione museale, la superba galea d’argento donata nel 1667 da Don Pietro Napoli e Barresi, principe di Resuttana; e la serie di vasi d’altare con “pampini di Paradiso” (foglie che somigliano all’edera) donata, sul finire del XVII secolo, dal vicerè Juan Francisco Pacheco, duca di Uzeda, come si scopre dall’insegna araldica. Queste opere in particolare, come pure le altre esposte, sono state sottoposte ad un accurato e delicato restauro, che in molti casi è riuscito a recuperare esemplari ridotti in pessime condizioni.
Pezzi unici che raccontano la devozione per la “Santuzza” non solo da parte di alti prelati e nobili blasonati, ma soprattutto dalla gente comune, non solo palermitana: come il celebre reliquiario con un angelo che sovrasta un drago, opera dell’argentiere Andrea Memingher, su un disegno di Antonino Grano e Giacomo Amato custodito all’Abatellis; l’ultimo gioiello seicentesco dei Cavalieri di Malta, con smalti policromi tipicamente siciliani, accompagnato da un dipinto della Madonna del Trionfo, e da un leggio d’argento, sempre dei Cavalieri; statue d’argento, calici in filigrana, ceroplastiche affascinanti. E proprio il santuario nasconde un ultimo segreto: una “cassaforte” seicentesca ovvero un piccolo ambiente con porta corazzata dentro cui si conservavano i pezzi preziosi.
Qui l’allestimento – curato da Santo Cillaroto – ricostruisce lo stato originale con bauli e arredi.
“Il recupero del tesoro ha fatto scattare una sorta di nuova devozione – interviene ancora Maria Concetta Di Natale -: i restauratori hanno offerto la loro opera, alcuni collezionisti hanno donato o prestato pezzi bellissimi”.
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