Due tra le principali indagate dell’operazione sulle “schiave del pulito” non tornano in carcere. Il tribunale del riesame di Palermo, presieduto dal giudice Bruno Fasciana, ha confermato il provvedimento del gip e la scarcerazione di Lamia Tebourbi. Si tratta della mediatrice culturale, una delle donne coinvolte nell’operazione della polizia di Stato sulle “schiave del pulito”, le nigeriane arrivate a Palermo e impiegate nei consorzi per fare le pulizie negli alberghi. La donna è difesa dall’avvocato Giorgio Bisagna.

Le accuse

Lamia Tebourbi insieme ad altre quattro persone erano indagate, a vario titolo, per associazione per delinquere finalizzata all’intermediazione illecita ed allo sfruttamento lavorativo, nonché per truffa ed estorsione, con l’aggravante di aver commesso il fatto ai danni dello Stato e con l’abuso di relazioni di prestazioni d’opera.

Il ricorso della Procura

La Procura aveva presentato ricorso contro la scarcerazione ma il tribunale ha confermato il provvedimento di revoca degli arresti domiciliari che dopo l’interrogatorio di garanzia era stato disposto dallo stesso gip, il quale aveva firmato l’ordine di arresto, per carenza di gravi indizi di colpevolezza. L’indagata ha raccontato al giudice che Luca Fortunato Cardella, uno degli altri arrestati nell’operazione, si era presentato come persona affidabile e aveva proclamato il suo impegno antirazzista. Aveva più volte ribadito che l’impegno era di tre o quattro ore al massimo al giorno, per una paga mensile di 400 euro.

La tesi delle indagate

L’impiego delle ragazze non ha mai portato alcun utile alla struttura e non è mai stato riferito alle donne che sarebbero state cacciate se non avessero lavorato. Anche nei confronti di un’altra donna, Monica Torregrossa, responsabile del centro di Roccamena, difesa dall’avvocato Vincenzo Pillitteri, il giudice del tribunale del riesame ha respinto il ricorso della Procura contro la revoca della misura cautelare.

Le iniziali contestazioni dell’operazione

L’operazione scattò nel luglio scorso e secondo la procura i 5 indagati avrebbero sfruttato e sottopagato alcune immigrate nigeriane ospitate nei centri di accoglienza e impiegate nel consorzio Diadema che opera nel settore della pulizia. Le indagini sono state scattate dopo alcune segnalazioni su alcuni casi sospetti. Da quanto accertò la polizia nelle indagini le vittime erano costrette a turni di lavoro massacranti, superando regolarmente le 10/12 ore consecutive, per una paga, quando retribuita, pari a 400 euro mensili.

 

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