Una cinquantina di studenti del Collettivo Universitario Autonomo si sono dati appuntamento nei locali della facoltà di Ingegneria, dove erano in corso i test d’ammissione ai corsi di laurea a numero programmato dell’Università degli Studi di Palermo, per protestare contro il numero chiuso e manifestare il proprio sostegno allo sciopero di professori e ricercatori iniziato da pochi giorni e indetto a livello nazionale dal “Movimento per la dignità della docenza universitaria”.

Momenti di confronto e controinformazione si sono avuti dentro e poi fuori i locali della facoltà ove stato esposto uno striscione con su scritto ” Diritto allo studio negato. No al numero chiuso”.

“Da anni ormai il numero chiuso, strumento con cui si limita la possibilità ad accedere al corso di laurea desiderato, è il dispositivo attraverso cui i vertici dell’università attuano una preselezione che innesca in tutti noi una concezione meritocratica e competitiva del mondo della formazione. Questo, inoltre, serve da scorciatoia all’istituzione universitaria – dice Gianmarco Codraro, studente di ingegneria del Collettivo Universitario Autonomo – per nascondere e non affrontare le difficoltà che si presenterebbero nell’accogliere più studenti di quelli previsti. Strutture inadeguate e spesso inagibili, aule non abbastanza capienti e forti carenze nell’offerta formativa e nei servizi, come sale studio, biblioteche, alloggi per studenti fuori sede e navette, sono le caratteristiche di un Ateneo soggetto al generale progetto di de-finanziamento strutturale delle università del Sud. E’, infatti, evidente l’aumento, anno dopo anno, del divario con le università del nord a cui il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca destina la maggior parte dei fondi statali. Scelta chiaramente legata alla maggiore produttività di determinati settori lavorativi al Nord”.

“In questo scenario l’università palermitana continua a soccombere per mezzo del processo di “svuotamento” e di fuga dei cervelli verso una università che permetta loro più possibilità di accesso e, apparentemente, una migliore formazione”.

“Inoltre sostenere lo sciopero dei professori ci dà la possibilità di aprire un momento di confronto più ampio in cui studenti e docenti insieme possano mettere in discussione le politiche predatorie portate avanti negli ultimi anni dal MIUR. Il blocco degli scatti stipendiali attuato dal MIUR è un tassello importante che si aggiunge al piano di de-finanziamento delle università portato avanti proprio dal Ministero. De-finanziamento che negli atenei del Sud vede la sua massima espressione e, già da tempo, importanti ricadute negative su didattica e ricerca. Professori e ricercatori (o aspiranti tali) vedono di molto ridotte le possibilità di lavorare e fare ricerca al Sud: 95 milioni per 300 progetti di ricerca sono stati messi a disposizione nel settembre 2016, solo il 20% di questi è andato nelle regioni del Mezzogiorno. Anche qui le responsabilità sono da attribuire al MIUR e ai criteri di divisione dei finanziamenti che esso stabilisce. In nome del merito e della competitività è stato portato avanti un processo di desertificazione della ricerca al sud. Quando il merito è la capacità della ricerca di vendersi ai privati e di attrarre risorse, il sud diventa immeritevole perché sprovvisto di quel tessuto economico e industriale tanto agognato, e noi, diventiamo quindi immeritevoli per nascita, destinati a un’università di serie B, a non poter accedere al mondo della ricerca e ancor peggio a dover emigrare per una migliore prospettiva di vita. Crediamo – conclude Cordaro – sia il momento di opporsi a tutto questo e costruire attraverso la forza collettiva un’alternativa a questo sistema universitario e in questo senso il blocco dell’università, praticato attraverso una mobilitazione ampia, potrebbe rappresentare la leva del cambiamento possibile”.