• L’inchiesta partita da Palermo poi passata a Milano
  • Quattro carceri su dieci in cui ha raccolto proseliti sono in Sicilia
  • Aggressioni anche alla polizia penitenziaria

Avrebbe fatto “proselitismo” per l’Isis in una decina di carceri italiane, con violenze e minacce su altri detenuti, esaltando gli attentati più eclatanti, dalle Torri Gemelle a quello a Charlie Hebdo, affermando di essere un “terrorista” e “che gli italiani erano dei maiali”, che li avrebbe “uccisi tutti tagliandogli la gola, cavandogli gli occhi e facendo la guerra”. Per questo, con le accuse di associazione terroristica e istigazione a delinquere con finalità di terrorismo, Raduan Lafsahi, marocchino, ha ricevuto nel carcere di Paola (Cosenza) un’ordinanza cautelare nelle indagini dei pm Alberto Nobili e Alessandro Gobbis.

L’inchiesta partita da Palermo

Tutto ha avuto inizio da una indagine avviata dalla procura di Palermo e poi passata al pool anti terrorismo. Il marocchino, 35 anni, stando a quanto ricostruito dalle indagini del pool antiterrorismo milanese e degli agenti del Nucleo investigativo centrale della Polizia penitenziaria, avrebbe iniziato la sua attività di proselitismo per l’Isis già quando era detenuto a Como (da qui la competenza dell’antiterrorismo milanese in un’indagine in prima battuta scattata a Palermo) tra il 2015 e il 2017.

Dieci carceri teatro della sua attività, quattro in Sicilia

E l’avrebbe portata avanti, con comportamenti violenti anche nei confronti degli agenti della polizia penitenziaria oltre che dei detenuti, anche quando era rinchiuso, sempre per reati comuni come spaccio e rapine, anche a Pavia, Torino, Potenza, Agrigento, Palermo, Catania, Messina, Catanzaro. In tutti questi istituti penitenziari l’uomo “con atteggiamenti intimidatori” avrebbe cercato di convincere gli altri detenuti a radicalizzarsi, perché, come spiegato dagli inquirenti, la sua “fede nel radicalismo islamico lo legittimava, a suo dire, a comportarsi così, come un violento fanatico”. Anche rivolgendosi agli agenti della polizia penitenziaria in carcere, l’uomo più volte avrebbe detto che era pronto a “tagliare la gola agli italiani”.

Le minacce agli agenti penitenziari

“Allah Akbar, vi ucciderò tutti, appena esco da qua, vi taglio la testa a tutti”. E’ solo una delle tantissime minacce, rivolte agli operatori e agli agenti della polizia penitenziaria, in questo caso del carcere di Cosenza, da Raduan Lafsahi.

Nelle 57 pagine dell’ordinanza vengono elencati, uno ad uno, gli “atti di danneggiamento, le aggressioni verbali e fisiche negli istituti di pena” e i suoi “messaggi di minaccia e intimidazione”, oltre a quelli di “apologia” dell’Isis e di “istigazione” nei confronti degli altri detenuti. “Io appartengo alla famiglia dell’Isis, vi ammazzo tutti”, avrebbe detto sempre in carcere e già nel 2015 e poi ancora, detenuto a Torino nel 2017, “primo o poi vi uccido”, rivolto a “personale della Gdf”.

Un detenuto che era recluso con lui nel 2019 ha raccontato a verbale: “Diceva che dovevamo fare cose contro gli agenti, ci diceva di buttare addosso a loro qualsiasi cosa o di insultarli e creare disordini (…) di essere aggressivi”. Secondo gli atti, tra l’altro, l’uomo ha anche una “rete di contatti che ben potrebbero dare realizzazione concreta” alla espressione della sua “ideologia violenta e estremista”. Nelle intercettazioni, infatti, il marocchino fa riferimento a “cugini stanziati nel territorio di Milano”, soggetti che lui stesso definiva “pericolosi”. Il 35enne, scrive il gip, ha “predicato la paura diffusa come mezzo di dominio dell’Occidente, ha istigato gli altri detenuti alla commissione di atti di violenza volti a destabilizzare la disciplina e l’ordine carcerario”.

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