“Il mio nome è Medhanie Tesfamarian Behre. Ho vissuto in Eritrea con mia madre fino al 2014. Non sono sposato, non ho figli. Ho fatto il falegname e l’idraulico. Non conosco Mered Medhanie Yedhego”. Davanti alla Corte d’Assise di Palermo, che lo processa per l’accusa di tratta di esseri umani, si è difeso così.
Smentendo intanto di essere Mered Medhanie Yedhego, l’eritreo che la procura di Palermo ritiene a capo di una delle maggiori organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di profughi dall’Africa all’Italia. In cella da due anni, l’imputato denuncia un clamoroso errore di persona e sostiene di essere solo un falegname che si trovava in Sudan in attesa di partire per l’Italia.
“Non ho mai aiutato nessuno a venire in Italia – ha detto – e Il giorno del mio arresto in Sudan sono stato torturato. Non ho mai avuto un avvocato difensore. Dopo l’arresto la polizia sudanese mi ha riportato nella casa dove stavo, mi hanno
lasciato fuori e hanno perquisito e sequestrato alcune cose. Ma io non ho visto cosa”.
Ma proprio dal cellulare trovato all’eritreo i pm di Palermo hanno ricostruito il suo ruolo nei traffici di esseri umani.
(foto di repertorio)
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