Applausi a non finire per Gabriele Ferro, sul podio della serata inaugurale della stagione del Teatro Massimo di Palermo, un trionfo personale e meritato per il maestro che ha diretto con piglio deciso il ‘Guillaume Tell’ di Gioachino Rossini, per la prima volta a Palermo nella versione francese, a partire dalla celebre ouverture, che in nuce contiene tutta l’opera monumentale, l’ultima scritta dal genio di Pesaro, il suo testamento estetico, dopo il quale ci fu solo il silenzio.
Dalla melodia del violoncello, dolente e struggente, a quella pastorale per confluire nella galoppata, alla veemenza dei toni guerreschi di un popolo, quello dei cantoni svizzeri, piegato sotto il giogo degli invasori austriaci.
Grand opéra, il Guillaume Tell, si situa nello spartiacque tra le opere tardo barocche e quello spiraglio di romanticismo che avanza inarrestabile. E’ insomma un’opera che potremmo definire kantiana, che fa della libertà un indiscutibile postulato, la libertà di un popolo disposto a combattere e a morire e che trova nel magnifico arciere il suo leader e il suo riscatto.
Ottima prova per l’orchestra, magistralmente preparata da Ferro, e per i cantanti, a partire dal protagonista, il rossiniano Roberto Frontali, che mostra tutta la sua sicurezza, alla Mathilde di Nino Machaidze, brava e bella, a suo agio nei duetti d’amore con Arnold, il tenore Dmitry Korchak che ha fatto meglio che poteva: la sua parte è difficile e ardua, piena zeppa di acuti inarrivabili.
Ottima prova per il mezzo soprano Anna Maria Sarra, nel ruolo di Jemmy. E bene anche Marco Spotti e Emanuele Cordaro, insieme a Luca Tittoto nella parte di Gesler. Successo per il coro, vero protagonista dell’opera, diretto da Piero Monti.
Ma non sarebbe una vera inaugurazione senza qualche contraccolpo: fischi alla regia di Damiano Michieletto, che si concentra sulla parte politica della storia, sugli invasori austriaci con i loro mitra e le pistole, fermo restando che i congiurati svizzeri hanno una balestra e molte frecce. Un cortocircuito storico? E’ sicuro che non poteva eliminare la scena in cui Tell è costretto a colpire con una freccia (non certo con un’arma da fuoco) la mela sulla testa del figlio, ma forse i fischi hanno altra ragione: nella narrazione della storia si perde del tutto l’orizzonte immenso che la libertà concede (lo dice il libretto), l’infinito e la bellezza della natura, quel tremore che la tempesta e il rischio della morte imprimono, prima che una preghiera si alzi verso il cielo e che costituisce il mitico finale dell’opera.
C’è la lotta violenta tra oppressori e oppressi, ma questo da solo non è il Guillaume Tell. Molto bello l’albero immenso da tre tonnellate e mezzo, unico elemento di scena, disegnato da Paolo Fantin. Ultima notazione: la prima è iniziata in ritardo per lo sciopero di mezz’ora della sigla Fials Cisal.
Si replica fino al 31 gennaio.
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