Madre e figlio, amministratori di un laboratorio d’analisi accreditato nella zona di Corso dei Mille, sono accusati di avere truffato, tra il 2014 e 2018, il servizio sanitario e quindi l’Asp di Palermo.

Le indagini condotte dai finanzieri del comando provinciale, coordinate dal procuratore aggiunto Sergio Demontis e dal sostituto Andrea Zoppi, hanno fatto scattare un’ordinanza cautelare emessa dal gip Lirio Conti, con la quale è stato applicato ai due amministratori il divieto per un anno di esercitare uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese.

Il provvedimento è scattato nei confronti di Antonia Dolce  Dolce. 75 anni e Gabriele Caracciolo 34 anni. Secondo le indagini del nucleo di polizia economico-finanziaria di Palermo, i due avrebbero truffato azienda sanitaria attraverso un sofisticato “sistema” di sovra-rendicontazione e fatturazione di prestazioni di laboratorio attraverso metodiche di analisi non congrue rispetto alla finalità di ricerca o alle capacità tecniche del laboratorio, mancanza di prescrizioni mediche specifiche, test non eseguiti. Con lo stesso provvedimento il gip ha disposto il sequestro preventivo di circa 300 mila euro.

Le indagini sono scattate dopo un controllo amministrativo dell’Asp di Palermo e sono state svolte con l’ausilio del personale del centro regionale qualità dell’assessorato regionale della Salute.

Sarebbe stato accertato, in base alle indagini, che i dipendenti del laboratorio suggerivano direttamente o indirettamente, attraverso i pazienti, ai medici di base codici erronei del nomenclatore regionale da inserire nelle ricette, così consentendo la rendicontazione di esami inutili o non compatibili con le caratteristiche del laboratorio al solo fine di far lievitare i costi delle prestazioni da fatturare in capo all’Asp.

“Le indagini hanno fatto emergere un grave quadro indiziario –  dice il colonnello Gianluca Angelini, il comandante del nucleo di polizia economico finanziaria di Palermo. -Sfruttando l’elevato tecnicismo e la complessità della materia, utilizzando codici diversi da quelli previsti, ovvero indicando più codici in luogo di quello corretto o ancora aggiungendo l’esecuzione di prestazioni ulteriori e superflue, gli indagati sono riusciti ad ottenere importi non dovuti, per un ammontare molto significativo”.

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