• Giuseppe Di Stefano, del foro di Palermo, è stato eletto presidente dell’Unione degli Ordini Forensi della Sicilia
  • “Il diritto di avere diritti. Giustizia non può essere subordinata ad Economia. Questo il messaggio forte da Palermo”
  • Eletto anche il direttivo, vicepresidente Antonino Guido Distefano, segretario Antonella Martina Nigrone, Tesoriere Alfredo Saia
  • A margine anche un convegno tema PNRR – L’Avvocatura protagonista per una Nuova Giustizia
  • Il decano Manlio Gallo “La giustizia ha un nome”

I quasi 24mila avvocati (23.961) della Sicilia, iscritti presso i 16 consigli dell’ordine della regione, hanno rinnovato la propria rappresentanza istituzionale eleggendo il nuovo direttivo regionale dell’Unione degli Ordini Forensi dell’isola.

Di Stefano presidente

Giuseppe Di Stefano, del foro di Palermo, è stato eletto presidente. Suo vice è Antonino Guido Distefano, del foro di Catania. Eletta segretario Antonella Martina Nigrone del foro di Patti. Tesoriere, invece, è stato eletto Alfredo Saia del foro di Caltanissetta. I consiglieri, invece, sono Antonino Centorrino del foro di Messina, Giulio Vulpitta del foro di Trapani, Ignazio Galfo del foro di Ragusa, Cristina Aglieri Rinella del foro di Termini Imerese e Antonino Benintende del foro di Enna.

L’Unione ha tra le sue finalità quella di “studiare ed avviare a soluzione problemi inerenti alla giustizia ed all’esercizio della professione forense” nonché a “provvedere altresì alla consultazione e all’esame di temi e problemi di interesse professionale” interloquendo con plurimi e diversificati soggetti istituzionali.

Nell’intento di perseguire tali obiettivi l’Unione ha organizzato a margine della propria assemblea, un evento sul tema PNRR – L’Avvocatura protagonista per una Nuova Giustizia.

“Giustizia non può essere subordinata a Economia”

Giuseppe Di Stefano presidente dell’unione degli ordini forensi della Sicilia e quindi in rappresentanza dei 24mila avvocati siciliani, risponde alla domanda sulla difficoltà del ruolo dell’avvocato.

“È difficile, ma è un ruolo fondamentale per l’amministrazione della giustizia e soprattutto per la tutela degli interessi dei cittadini. Noi oggi vogliamo far sentire la nostra voce in maniere chiara e forte. La giustizia non può essere equiparata all’economia. E la giustizia dipendere dall’economia. Giustizia significa tutela dei diritti dei cittadini, significa tutela del diritto di liberta, tutela del diritto alla salute anche tutela ad avere un giusto processo. L’economia non può subordinare la giustizia. Ecco perché qua da Palermo stiamo cercando di affermare il diritto di avere diritti e non il diritto subordinato all’economia. È questo il messaggio forte che vogliamo lanciare da Palermo”.

Manlio Gallo “La Giustizia ha un nome”

Manlio Gallo, avvocato decano nonché presidente onorario del consiglio dell’ordine degli avvocati di Palermo, ha parlato dello stato generale in cui naviga la giustizia in Italia in vista delle novità del futuro.

“Nuova Giustizia? La Giustizia ha un nome – ha sottolineato il decano Manlio Gallo –. Che sia vecchia o nuova non ha importanza. Quella vecchia era buona, quella nuova non è più buona. Questo è il guaio. E la cosa che ci preoccupa è che noi lavoriamo per la giustizia. Ci impegniamo per rendere giustizia ai cittadini e la giustizia non c’è. Questo è il guaio. Da che cosa dipende, un po’ dal progresso dei tempi dall’aumento delle persone eccetera, un po’ per l’abbandono delle forze politiche nei confronti del problema giustizia. La giustizia è una cosa seria, è una cosa che amiamo perché il cittadino si rivolge a noi perché crede nello Stato, crede nel nome del popolo italiano, se c’è un problema da risolvere si rivolge agli avvocati e noi ci rivolgiamo ai giudiciE.

“Nessun contrasto con i giudici”

Gallo continua: “I giudici sono ottime persone, sia chiaro. Noi non abbiamo un contrasto con i giudici. Anche se c’è qualcuno per esempio come quel tale – di cui non voglio fare il nome – che vorrebbe una norma in forza della quale quando la parte perde il ricorso per Cassazione l’avvocato dovrebbe essere condannato alle spese. Questo non ha capito niente della giustizia. Come possa essere arrivato ai gradi più alti della giustizia, perché è un magistrato di alto livello, io non lo capisco. Non è questa la giustizia. La giustizia, ripeto, è una cosa seria. Il rispetto dei diritti degli altri allorquando si incontrano con i miei di diritti, da questo contrasto se ognuno di noi fa un passo indietro il problema si risolve”.

“Voglio morire avvocato”

Il decano ha sottolineato, non senza una vena ironica, inoltre: “Ho 90 anni, continuo a lavorare perché voglio morire avvocato. Lavoro un po’ meno perché non sono in condizione di muovermi con celerità. Alla mia età dico che voglio morire avvocato. Non mi cancello dall’albo degli avvocati. So che presto morirò, spero più lontano possibile. Non ho paura della morte, rimarrò un po’ seccato ma andrà così. Purtroppo non mi occupo più della giustizia ma la nostra fortuna è che ci sono questi giovani Giuseppe Di Stefano, Armetta, per quanto riguarda Palermo, non ho il piacere di conoscere i colleghi degli altri fori ma si sono sempre impegnati, quelli che ho avuto l’onore di conoscere, per risolvere i problemi dell’avvocatura. Non siamo sempre stati ascoltati perché non abbiamo avuto la politica a nostro favore. I politici non ne capiscono nulla. Oggi abbiamo la fortuna che Giulia Bongiorno assiste il ministro della Giustizia. Giulia Bongiorno è una palermitana è figlia di un professore di università palermitano, grande avvocato ed è in condizioni di consigliare per il meglio. Però cercano di risolvere problemi marginali”.

Il problema di fondo della giustizia

E conclude: “Problema di fondo giustizia: se io do uno schiaffo a lei oggi, lei domani deve avere ragione. Che la abbia tra 15-20 giorni non ci sente più piacere”.

Il problema che incombe

Vincenza Gagliardotto, Got della sezione Penale di Palermo ha sottolineato il problema dei giudici onorari che svolgono una funzione importante e recentemente riconosciuta anche dalla corte europea.

“Il problema lo portiamo appresso da 20 anni – osserva –. Io come tanti colleghi siamo magistrati onorari di tribunali penali, in questo caso. Lavoriamo per lo Stato. Amministriamo giustizia per lo Stato senza avere i dovuti riconoscimenti, come la Costituzione insegna. Noi lavoriamo, emettiamo sentenze. Facciamo un lavoro di grande responsabilità per amministrare la Giustizia in Italia. Tuttavia, lo Stato, ancora dopo tanti anni proroghe e contro proroghe, ci parla di varie riforme. Ma queste riforme serie per i nostri diritti non arrivano mai. Nonostante la sentenza del luglio del 2020 della corte europea che ha ribadito e messo nero su bianco che riconosce la nostra funzione come giudici europei e quindi come lavoratori subordinati e come tali lo Stato debba assolutamente riconoscere all’interno del nostro territorio il nostro lavoro, la nostra funzione come lavoratore subordinato. Ancora tutt’ora nonostante la commissione di giustizia che la ministra ha instituito parliamo di proroghe. Ed è inaccettabile perché il 15 agosto entrerà in vigore la riforma Orlando che demansionerà di molto le nostre funzioni. Portandoci ad avere una funzione ancillare per la magistratura togata ed è chiaramente insopportabile dopo tanti anni”.

Il ridimensionamento della categoria dei giudici onorari

Sabrina Agionas giudice onorario presso il tribunale di Palermo, sottolinea ulteriormente come la riforma Orlando ridimensioni il ruolo della categoria.

“L’imminenza dell’entrata in vigore dell’ultimo decreto legislativo della riforma Orlando – spiega – ci porterà ad un demansionamento con una riduzione anche del carico dell’attività lavorativo. Ma questa difficoltà non sarà sentita solo dai magistrati onorari che si vedranno quindi in una funzione ancillare rispetto alle precedenti funzioni esercitate ma sarà una difficoltà che investirà l’intero comparto Giustizia ed in particolare la tutela dei diritti dei cittadini in quanto i magistrati onorari di tribunale hanno un carico giudiziario di oltre il 50 percento. Statistiche alla mano, verificabile che l’attività produttiva dei giudici italiani, quella che viene mandata in Europa e che li ha potuti agli occhi di tutti i cittadini europei far qualificare come i più produttivi d’Europa, in realtà è una statistica che contiene – senza però che se ne dia conto – tutta l’attività produttiva anche dei magistrati onorari”.

Le problematiche dell’avvocatura

Dedalo Pignatone, avvocato, onorevole camera deputati commissione agricoltura, parla della crisi dell’avvocatura. Accentuata, ma non provocata, dal Covid.

“Sicuramente – dice Pignatone – in questo periodo storico l’avvocatura sta vivendo una crisi. Che è stata accelerata dalla pandemia e non provocata. Perché la crisi della classe forense è in atto da 5-8 anni. Intanto come governo ci siamo occupati di assistere gli avvocati. Infatti per la prima volta si è creato una sorta di welfare, un aiuto concreto ed economico per gli avvocati. A mio avviso, l’avvocatura dovrebbe anche uscire dalle aule di tribunale. In questo momento ci troviamo di fronte alla fine di un ciclo e l’inizio di un nuovo ciclo etico, culturale economico. Gli avvocati hanno un grande ruolo: hanno la possibilità di aiutare, di sostenere le aziende, il tessuto economico anche a sfruttare, utilizzare, le opportunità che vengono dal PNRR. In effetti, diciamo che al sud – in un certo qual modo – anche a causa di una debolezza del tessuto economico, ci sono meno avvocati di impresa, meno avvocati che sono in grado di aiutare anche le grandi imprese che spesso – anche sbagliando a mio avviso – si rivolgono a professionisti del nord. Il sud stuoli di giovani, stuoli di grandi professionisti che hanno la possibilità di aiutare la loro terra a svilupparsi”.

Le difficoltà per magistratura ed avvocatura

Rosario Pizzino presidente consiglio dell’ordine avvocati Catania, parla invece delle difficoltà per la magistratura ed avvocatura. “In questo momento siamo impegnati su un fronte molto delicato che è quello degli emendamenti governativi. La cosiddetta riforma della giustizia civile e penale portata avanti dal ministro Cartabia. E quindi i problemi si compendiano tutti all’interno di questo testo legislativo che benché sia ben fatto non potrà mai ovviare a quelli che sono i due nodi principali. Uno è la carenza degli organici, l’altro è quella della ediliza giudiziaria del tutto carente. Possiamo introdurre qualsiasi modifica, possiamo anche rischiare di comprimere i diritti ma purtroppo non si può eliminare il collo di bottiglia che si crea nella fase decisionale del processo. Noi auspichiamo quindi un aumento sostanziale degli organici dei magistrati e del personale amministrativo. E poi abbiamo il nodo dell’edilizia giudiziaria carente che non ci permette di svolgere in dignità il nostro lavoro che è un pregiudizio per la salute rispetto alla quale l’impegno governativo deve essere massimo”.

Come potrebbero risolversi i problemi dell’avvocatura

Fabio Ferrara, presidente della camera penale di Palermo spiega come potrebbero risolversi le difficoltà dell’avvocatura. “La difficoltà dell’avvocatura per quanto riguarda noi penalisti ci riferiamo, ovviamente a quelli che sono i diritti dei cittadini, degli imputati e delle persone offese. Questo è il tema del giusto processo che noi portiamo avanti da sempre. Purtroppo viene sempre, per vari motivi, disatteso e non portato avanti con coerenza da tutti i governi che si sono succeduti in questi ultimi anni. Dipende anche, non possiamo nasconderlo, da alcune situazioni di fatto, di carattere criminale, che indubbiamente non agevolano un percorso di coerente sviluppo di queste tematiche. Tuttavia, questo, per noi è un punto centrale. E ancora oggi non se ne vede una via di uscita certa. Il tema della prescrizione, il tema delle garanzie del giusto processo, il tema di una ragionevole durata del processo. Tutti questi temi che adesso stiano per arrivare in aula, nelle aule parlamentari, hanno delle criticità che noi dobbiamo evidenziare e che riguardano quello che è un aspetto sostanziale. Cioè a dire che in queste proposte manca una tutela delle garanzie del cittadino per un processo giusto e per una ragionevole durata del processo”.