La Polizia di Stato ieri pomeriggio ha eseguito la misura della custodia cautelare in carcere a carico di Khadiga Shabbi, cittadina libica, 46 anni, residente nel quartiere dell’Albergheria, per aver pubblicamente istigato a commettere più delitti in materia di terrorismo, attraverso strumenti informatici o telematici.
L’arresto è scattato a conclusione del complesso iter giudiziario, con la conferma da parte della Corte di Cassazione del provvedimento del Tribunale del Riesame di Palermo che aveva annullato l’ordinanza con cui il Gip aveva disposto per la donna l’obbligo di dimora e non la custodia cautelare in carcere come richiesto dalla Direzione Distrettuale Antimafia- Dipartimento Antiterrorismo di Palermo.
All’epoca dei fatti la Shabbi, fu considerata “cellula dormiente” vicina all’organizzazione “Ansar Al Sharia Libya”, sostenuta economicamente con una borsa di studio dall’Ambasciata Libica in Italia, iscritta al dottorato di ricerca in Scienze economiche aziendali e Statistiche della Facoltà di Economia dell’Università agli Studi di Palermo.
La donna, natia di Bengasi, è legata ai ribelli dal punto di vista ideologico e ad altri soggetti, presumibilmente “”, presenti anche nel territorio nazionale ed europeo (Gran Bretagna, Belgio e Turchia), che, come lei, esaltano il radicalismo religioso e le milizie combattenti in Libia.
L’indagine della Sezione Antiterrorismo della Digos di Palermo, incentrata, essenzialmente sulla figura della donna, nasce dalla costante e capillare attività di intelligence svolta attraverso il monitoraggio non solo dei luoghi di aggregazione di cittadini extracomunitari, ma anche del web.
Dalle risultanze investigative sarebbe emerso che la Shabbi fosse molto attiva in “rete”, in particolare tramite i più noti social network, attraverso i quali, la stessa avrebbe manifestato il suo interesse e la sua vicinanza alle milizie islamiche riconducibili all’Isis, contrapposte nel conflitto libico al governo di Tobruk, riconosciuto dalla Comunità Internazionale.
La lontananza dagli scenari di guerra non impedisce alla Shabbi di “lottare” contro chi non condivide i suoi ideali, portandola così, ad esempio, a minacciare esplicitamente una connazionale residente a Palermo, colpevole di non aver condiviso la sua posizione ideologica radicale.
Infatti, nel corso di una conversazione telefonica, tra la Shabbi ed un’altra connazionale, destinataria anch’essa di provvedimento di perquisizione, si avviava una accesa discussione, ove le due criticavano aspramente e con toni forti un commento effettuato su una pagina Facebook di un’altra studentessa libica, presente nel capoluogo, colpevole di avere, a loro dire, espresso un giudizio negativo su Ben Hamid Wissam, Capo della “Libia Shield One”, legata all’organizzazione terroristica denominata “Ansar Al Sharia Libya”.
La discussione è stata considerata grave tanto che nel corso della medesima telefonata, la stessa Shabbi racconta di aver ricevuto dopo alcuni giorni una telefonata dalla Libia, dal fratello della cittadina libica, preoccupatosi delle minacce profferite dalla Shabbi.
A tali circostanze si aggiunge un episodio di invio di somme di denaro per scopi imprecisati ad un soggetto, ancora non identificato, presente in Turchia il quale manifestava inquietanti timori di essere intercettato nelle conversazioni con l’indagata principale. Su quest’ultimo episodio sono in corso ulteriori accertamenti
E’ stato, altresì, acclarato che la stessa, oltre a scaricare e divulgare una ingente mole di materiale propagandistico, consistente soprattutto in immagini e video, fosse pronta a fornire un fattivo appoggio di natura tecnico logistico, sul territorio italiano ai foreign fighters.
Ciò è confermato dall’intercettazione di una chat, tra la Shabbi ed un soggetto che risultava essere un miliziano attivo negli scontri in Libia, nella quale la stessa asseriva, testualmente, di essere : “…con il Consiglio della Shura…”, (facendo chiaramente riferimento al “Consiglio dei Rivoluzionari della Shura di Bengasi”); aggiungendo, inoltre, “…come ti avevo detto se hai bisogno di qualsiasi cosa la farò, considerami come tua sorella maggiore”.
Dalle indagini telematiche ed informatiche, è stato, altresì, accertato che un’altra significativa modalità di vicinanza alla “causa della Jiahd “ sarebbe rappresentata dal meccanismo dei cosiddetti “like”, con il quale si permetterebbe alle pagine d’area di raggiungere numeri altissimi di visibilità e la massima diffusione, nel tentativo di creare una vera e propria rete di sostegno.
Con tali strumenti, unitamente alla tecnica di ricopiatura dei contenuti, si permetterebbe agli amministratori delle stesse pagine di “salvaguardarle”, rendendole, pressoché, immuni alle eventuali segnalazioni di chiusura effettuate dai singoli utenti alla stessa Società amministratrice (tranne che nel caso di intervento diretto mediante provvedimenti dell’autorità giudiziaria o su segnalazioni da parte di Enti Istituzionali).
La maggior parte di tali pagine al vaglio degli inquirenti, tutte scritte rigorosamente in lingua araba, sarebbero indirizzate a pubblicizzare, a livello globale, la propaganda jihadista, definita Jihad 2.0 con il meccanismo del concetto virtuale di auto-sostentamento, secondo il principio che più “Like” mantengono la pagina in vita. Questa sarebbe, secondo l’intelligence, un’altra potente arma in mano ai terroristi per alimentare il clima di terrore e per reclutare nuovi sostenitori.
Tra l’altro, le conversazioni telefoniche intercettate hanno consentito di accertare come la donna, nella prima fase delle indagini, si sia attivata nell’intento di far giungere in Italia il nipote Al Shabbi Abdulrazeq Fathi, combattente in Libia per le milizie vicine all’Isis, al fine di sottrarlo alla cattura da parte dell’esercito regolare libico.
Nel corso di un’altra conversazione telefonica intercettata dagli investigatori, infatti, la donna, suggeriva ad alcuni familiari, di far scappare in Tunisia il nipote, insieme ad altri soggetti non meglio identificati, nel tentativo di ottenere il rilascio del visto d’ingresso per l’Italia presso la sede dell’Ambasciata italiana in Tunisia (in quanto l’Ambasciata d’Italia in Libia era stata chiusa da pochi giorni).
Risulta, inoltre, che la Shabbi, per portare a termine il progetto di far arrivare il nipote in Italia, si era attivata per iscriverlo presso una scuola di italiano per stranieri, presente a Palermo, in modo da tentare di ottenere per lui il rilascio del visto d’ingresso per motivi di studio e – una volta giunto in Italia – la concessione del permesso di soggiorno.
Suo nipote, invece, sarebbe rimasto ucciso nel corso di una operazione militare condotta dall’esercito “regolare” libico.
Il 19 maggio scorso, infatti, veniva intercettato un “Post” effettuato dalla Shabbi su una pagina Facebook denominato (secondo la traduzione dalla lingua araba ) “Dallo 01 a tutte le unità”, ove la donna scriveva testualmente: “Battar per favore vendicate la morte della persona più vicina al mio cuore. Loro mi hanno fatto soffrire molto, Dio deve farli soffrire”.
A tale richiesta l’amministratore della pagina rispondeva che sarebbe stata fatta vendetta. La Brigata Battar è una delle milizie islamiche, costituita da veterani di guerra che rappresentano il nocciolo duro della parte libica del Califfato.
Da un’altra conversazione si evincerebbe la completa messa a disposizione della Shabbi: “So che io non posso fare nulla ma se avete bisogno di qualsiasi cosa da me, io la farò”.
Da queste risultanze investigative emergerebbe, infine, con estrema chiarezza, che la morte del nipote, quindi, la presenza di un “martire” in famiglia, sarebbe stata una delle ragioni della sua radicalizzazione, tanto che la stessa era pronta ad offrire il suo contributo ed il suo sostengo ai combattenti di Ansar Al Sharia Libya.
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